sabato 15 maggio 2021

ricetta latte condensato

Dopo aver provato molte ricette vi propongo la mia versione del latte condensato. Semplice e veloce da preparare, con tre ingredienti che in genere si trovano già nelle nostre case.

ingredienti:

-latte intero 300ml (va bene anche il parzialmente scremato)
-zucchero bianco 200gr
-amido di mais o fecola di patate 5-6gr (per addensare)
-una bustina di vanillina (facoltativa)

procedimento:

come prima cosa stemperare l'amido o la fecola con un pò di latte in modo che quando venga aggiunto successivamente agli altri ingredienti non si formino grumi, ed aggiungere la vanillina allo zucchero. Dopodichè, in una casseruola dal doppio fondo (ma si possono usare anche dei pentolini antiaderenti), versare il latte rimanente e lo zucchero con la vanillina, portare sul fuoco e far riscaldare fino a quando lo zucchero si sarà sciolto completamente ma senza far bollire il composto. 
A questo punto aggiungere il latto con l'amido preparato in precedenza e mescolare continuamente con una frusta per evitare che possano formarsi del grumi. 
Poco a poco il composto inizierà a diventare più denso e quando incomincerà a "velare il cucchiaio" ovvero, a creare un sottile film di crema che rimane aggrappato all'utensile che state usando, potrete togliete il pentolino dal fuoco e lasciare raffreddare il tutto per qualche minuto prima di versarlo in un barattolo di vetro dove lo dovrete lasciar raffreddare fino a quando sarò a temperatura ambiente ed avrà raggiunto la densità cremosa ma abbastanza fluida tipica del classico latte condensato.
A questo punto potete riporlo in frigo e consumarlo nel giro di qualche giorno.


il latte condensato è un ingrediente presente in molte ricette, come la pumpkin pie o il gelato fatto in casa. 


ps: in giro per il web ho trovato molte ricette in cui la percentuale di zucchero era maggiore ma secondo i miei gusti risultava fin troppo dolce quindi ho abbassato un pò la dose. (potete anche usare le stesse dosi di latte e zucchero).

provatelo e fatemi sapere cosa ne pensate! buona preparazione :)

sabato 10 aprile 2021

Pistacia terebinthus L. (Terebinto)

 
https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Pistacia_terebinthus_kz01.jpg

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/5/5d/Pistacia_terebinthus_kz01.jpg

Krzysztof Ziarnek, Kenraiz, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, attraverso Wikimedia Commons

 

 

 DOVE CRESCE?

Questa pianta, spontanea nella macchia mediterranea, appartiene alla famiglia delle Anacardiacee ed è chiamata comunemente Terebinto.

Generalmente cresce vicino alle coste, a bassa quota fino a 900m, nei boschi termofili, inoltre la si può trovare anche sui pendii aridi e le rupi.

Il Terebinto riesce a sopportare condizioni di estrema aridità essendo per natura una pianta termofila ed eliofila e vantando la capacità di adattarsi a qualsiasi terreno anche se preferisce i suoli silicei.

 

DESCRIZIONE:

 

Generalmente si presenta in forma arbustiva con chioma irregolare ma alle volte può diventare anche un albero che raggiunge i 5m di altezza circa, la corteccia è liscia e grigiastra.  

-Le foglie si presentano lunghe 10-20 cm, imparipennate, composte da 5-11 foglioline ellittiche-acute, ad inserzione alterna dal forte odore di resina.

-la pianta è dioica, ovvero sono presenti fiori unisessuali su piante diverse, raccolti in infiorescenze a pannocchia di color verde-bruno. La fioritura si presenta in concomitanza con l’emissione del fogliame ed avviene da aprile a luglio.

-i frutti sono delle piccole drupe verdi di 7mm che diventano rosse a maturazione, raccolte in grappoli sull’asse dell’infiorescenza.

 

CURIOSITA’:

 

v  il Terebinto è spesso usato come portainnesto per le piante di pistacchio (P. vera).

v  Purtroppo è poco conosciuto e raramente viene coltivato a causa della piccola dimensione delle drupe.

v  Ha una prospettiva di vita di circa 150-200 anni.

v  Dalla corteccia si estrae la “trementina di chio” ovvero una resina dotata di proprietà emostatiche, digestive, astringenti ed espettoranti.

v  Il legno ha limitate utilizzazioni in ebanisteria e per lavori al tornio a causa delle sue dimensioni ridotte.

v  Dai suoi semi si ricava un olio alimentare che a Creta viene utilizzato per profumare il pane.

v  In Oriente viene impiegato per profumare l’alito come masticatorio e per rinforzare le gengive e proprio per questi motivi in Spagna veniva prodotto dalle galle un vino astringente.

v  Oltre ad essere utilizzato a scopo alimentare l’olio di Terebinto può essere usato anche per la cura della pelle, proprio come altri olii vegetali. (ad es. olio di mandorle dolci)

v  In Turchia l’olio viene utilizzato anche per la produzione di sapone (menengic sabunu)

domenica 28 marzo 2021

The cost of the crown (il costo della corona)

 

The stars are very beautiful above the palace walls

They shine with equal splendor still above far humbler halls

I watch them from my window, but their bright, entrancing glow

Reminds me of the freedom I gave up so long ago

Le stelle sono davvero splendide sopra le mura del palazzo,

brillano ancora di eguale splendore al di sopra delle stanze più umili.

Le guardo dalla mia finestra, ma il loro bagliore, luminoso e affascinante

mi ricorda la libertà a cui ho rinunciato molto tempo fa.

 

The royal circlet of bright gold rests lightly on my brow

I once thought only of the rights this circlet would endow

But once I took the crown to which I had been schooled and bred

I found it heavy on the heart, though light upon the head

Il reale cerchio d'oro brillante si appoggia leggermente sulla mia fronte,

una volta pensavo solo ai diritti che questo cerchietto mi avrebbe conferito,

ma una volta presa la corona da cui ero stata istruita e allevata

l'ho trovata pesante sul cuore, anche se leggera sulla testa.

 

For they are all my children, all that I swore to defend

It is my duty to become both Queen and trusted friend—

And of my children high and low, from beggar to above

The dearest are my Heralds, who return my care with love

 

Perché sono tutti miei figli, tutto ciò che ho giurato di difendere,

è mio dovere diventare sia la regina che un’amica fidata.

E dei miei figli, dai più illustri ai più umili, dal mendicante e andando più in alto,

i più cari sono i miei Araldi, che ricambiano le mie cure con amore.

 

The dearest are my Heralds, swift to spring to my command

Who give me aid and fellowship, who always understand

That land and people first have needs that I may not deny—

So I must send my dearest friends to danger—and to die

 

I più cari sono i miei Araldi, pronti a balzare al mio comando,

che mi aiutano e mi sono amici, che capiscono sempre

questa terra e le sue persone, che hanno innanzitutto dei bisogni che non posso negare ...

Quindi devo mettere in pericolo i miei più cari amici ….. e mandarli a morire

 

A friend, a love, a child—it matters not. I know indeed

That I must sacrifice them all if there should be the need

They know, and they forgive me—doing more than I require

With willing minds and loving hearts go straight to grasp the fire

Un amico, un amore, un bambino, non importa. Lo so davvero

che dovrò sacrificarli tutti se ve ne fosse la necessità,

loro lo sanno e mi perdonano, facendo più di quanto gli richiedo

con menti volenterose e cuori amorevoli che si getterebbero nel fuoco senza indugio.

 

These tears that burn my eyes are all the tears the Queen can't shed

The tears I weep in silence as I mourn my Heralds dead

O Gods that dwell beyond the stars, if you can hear my cry—

And if you have compassion—let me send no more to die!

Queste lacrime che bruciano i miei occhi sono tutte le lacrime che una regina non può versare, sono

le lacrime che verso in silenzio mentre compiango la morte dei miei Araldi.

O Dei che dimorate oltre le stelle, se riuscite a sentirmi piangere

e se avete compassione, non lasciatemi più mandare nessuno a morire!

domenica 7 marzo 2021

Cortinarius violaceus

  

Descrizione: il suo tratto più distintivo è il colore viola che interessa sia il cappello che il gambo.

Il gambo può raggiungere anche i 12cm di altezza e fino a 3cm di diametro, in gioventù si presenta obeso e robusto diventando slanciato a maturità anche se il bulbo basale rimane sempre non marginato. La superficie è asciutta, dello stesso colore del cappello con riflessi metallici e la presenza di fibrille longitudinali anche se più raramente possono essere presenti anche delle labili bande trasversali.

Il cappello può arrivare a misurare anche 16cm presentandosi prima emisferico, poi convesso ed infine appianato con un grande umbone centrale leggermente ottuso, ovviamente caratterizzato dal colore viola intenso con sfumature porpora da giovane che diventano brunastre quando raggiunge la vecchiaia. La superficie è tomentosa, opaca ed asciutta. Presenta un filo interno più chiaro e delle lamelle uncinate, viola scuro in gioventù, larghe e spaziate, che tendono a diventare color ruggire con l’età.

 

Habitat: questo fungo si trova sia nei boschi di latifoglie che di conifere che presentano un substrato tendenzialmente calcareo, in zone umide e muscose, dove manifesta un comportamento gregario. Non è comune ma dall’estate all’autunno inoltrato si trova abbondantemente nelle zone di crescita sopra citate. C’è da dire inoltre che qualche autore distingue questa specie in due taxa differenti a seconda della dimensione delle spore e delle abitudini biologiche. Il primo, C. violaceus cresce nei boschi di latifoglie mentre il secondo, C. hercynicus si presenta sotto le conifere ed è ritenuto da alcuni come una semplice varietà od una sottospecie dal momento che presenta delle spore evidentemente più corte e di forma leggermente differente. Comunque, alcune raccolte miste effettuate tra i due taxa, porta molti a considerarli pressoché uguali.

 

Commestibilità: il consumo di questo fungo non è consigliata dal momento che presenta un sapore dolce ed un forte odore delle carni, che sono peraltro mediocri e tendono a colorare tutto il piatto di violetto, che tende ad intensificarsi durante la cottura, definito come “russocoriaceo” (di cuoio di Russia) o di legno di cedro. Le carni sono tenere nel cappello e piuttosto fibrose e coriacee nel gambo con marezzature viola-porpora che tendono a schiarire al contatto con l’aria.

Per i meno esperti inoltre è facile confonderlo con taxa congeneri che possono presentare toni più o meno scuri di violetto come: C. traganus, C. caerulescens s.l e diversi Phlegmacium con colori simili che però presentano delle caratteristiche morfologiche che differiscono per uno o più caratteri come ad esempio l’assenza in tutti questi funghi di un cappello tomentoso che invece possiede C. violaceus, anche se di certo lo scambio peggiore sarebbe quello con Lepista nuda, che però dovrebbe riconoscersi facilmente per la mancanza di cortina sul gambo, la superficie pileica liscia e glabra e la sporata rosa sporco, non rugginosa. 

sabato 20 febbraio 2021

Il Cossus Cossus

 

Oggi vi parlerò di un insetto polifago diffuso in Europa: il Cossus Cossus, detto anche rodilegno rosso, che è un lepidottero appartenente alla famiglia Cossidae.

Come il nome fa facilmente intuire questo lepidottero, o meglio le sue larve, che generalmente depone alla base del fusto o delle grosse branche, producono una serie di danni più o meno seri a livello degli organi legnosi della pianta scavando delle lunghe gallerie.

Quando le uova si schiudono le larve presentano un comportamento gregario e così iniziano a scavare delle gallerie nella corteccia e successivamente nel legno essendo per natura xilofaghe e così facendo possono intaccare una gran numero di piante, sia da frutto come Pomacee e Drupacee, comportandosi in questo modo da fitofago primario oppure piante forestali o ancora piante di interesse ornamentale già debilitate agendo in questo caso da fitofago secondario.

In ogni caso provocano molti danni dal momento che distruggendo il legno viene a mancare il sostegno alla pianta, che può anche deperire a causa delle difficoltà che la linfa impiega per circolare all’interno dei tessuti colpiti, inoltre, nelle piante giovani le gallerie scavate dalle larve possono anche portare alla rottura della branca che non riesce più a sostenere il suo stesso peso.

Se l’infestazione larvale è giunta ad uno stadio avanzato è possibile notare anche dei consistenti danni a livello della corteccia, che presenterebbe dei fori di uscita, usati dalle larve quando lasciano il legno per formare un bozzolo esterno dentro il quale compiono la metamorfosi per diventare degli adulti, e degli sgretolamenti, a cui pianta tenta di porre rimedio.

Le gallerie scavate dalle larve non sono tuttavia l’unico fattore che potrebbe portare una pianta al deperimento dal momento che i tunnel rappresentano di fatto una ferita, da cui possono penetrare altri agenti patogeni, come muffe e funghi che potrebbero attaccare il legno a loro volta portando alla formazione di cancri e/o carie o dando il via libera all’insediamento di altri parassiti (sesidi).

 

 

CICLO VITALE

Il rodilegno rosso ha una durata di vita di circa 3 anni durante i quali si riproduce nel periodo estivo quando compaiono gli adulti a partire dalla terza decade di maggio e raggiungendo il picco di sfarfallamento tra luglio ed agosto, mesi in cui l’accoppiamento raggiunge la sua massima attività anche se bisogna tener conto che l’intervallo di sfarfallamento è frammentario e questo rende più complesso intervenire in modo efficacie per contrastare la diffusione del lepidottero.

Le femmine adulte possono deporre fino ad 800 uova brune/grigiastre, di circa 1-1,5mm, tra gli anfratti della corteccia alla base delle piante oppure in prossimità della giunzione di grosse branche con il fusto principale, appena nate le larve presentano un comportamento gregario e già dopo 10gg circa iniziano a scavare lunghe gallerie attraverso lo xilema del tronco o dei rami ed è proprio qui che passeranno il loro primo inverno.

Se la pianta attaccata è ancora giovane si potranno notare delle protuberanze e dei rigonfiamenti nella zona danneggiata, da cui può fuoriuscire un fluido nerastro di consistenza mucillaginosa, composto dalla linfa alterata, dai residui delle rosure e dai cataboliti prodotti dalle larve, segni che la pianta sta cercando di reagire ai danni che gli sono stati provocati.

A partire dalla primavera del 2° anno le larve riprendono il loro sviluppo, continuando a crescere fino a raggiungere gli 8-9cm (80-90mm), presentano 8 paia di zampe, di cui 3 toraciche, un colore rosato e la testa scusa e solo dopo aver passato un altro inverno allo stadio larvale assumono la caratteristica colorazione rossastro-violacea raggiungendo il pieno sviluppo durante estate del 3° anno.   

Scavano quindi per raggiungere la superficie ed una volta creata una via d’uscita formano un bozzolo entro il quale si rinchiudono, da quel momento passeranno circa 20-30gg prima che gli adulti possano finalmente uscire dall’involucro dove hanno acquisito la caratteristica forma a farfalla tipica dei lepidotteri.

La forma adulta presenta una colorazione violacea a livello della schiena mentre il corpo tende all’arancione (risultando molto simili al rodilegno giallo) mentre le ali sono di un color grigio-bianco striato con sottili venature brunastre che l’aiutano a confondersi con la corteccia.

Questi insetti presentano un’apertura alare di 7-10cm.

 

PREVENZIONE

I danni provocati dalle larve del Cossus Cossus sono gravi ed ingenti, motivo per cui si cerca di contrastarli con svariati mezzi.

Uno dei metodi utilizzati prevede l’utilizzo di nematodi come Feltiae, Carpocapsae e Neoaplectana  (Steinernema) da far entrare in contatto con le aree colpite spruzzandoli direttamente nelle gallerie oppure applicandoli su dei batuffoli di cotone che verranno poi apposti all’ingresso delle gallerie stesse in modo che questi organismi vermiformi inizino a cacciare le larve presenti nelle gallerie.

Si sta provando anche ad impiegare dei funghi entomopatogeni, come la Beauveria bassiana che agisce attivamente nei confronti delle larve anche quando le infestazioni si presentano a livello naturale.

Da ricordare che il Cossus Cossus possiede anche degli antagonisti naturali come alcuni imenotteri parassitoidi e i Ditteri Larvevoridi (gen. Phorocera) motivo per cui sarebbe meglio limitare il più possibile l’uso di prodotti chimici che col passare del tempo potrebbero danneggiare proprio questi utili antagonisti, oltre ai pronubi, finendo per creare un ambiente ancor più favorevole allo sviluppo ed alla diffusione del Cossus.

Un altro metodo, e probabilmente il più utilizzato, è quello di ricorrere a delle trappole sessuali, il cui n°/ha varia in base alla gravità dell’infestazione, al clima ecc… da installare indicativamente nella prima metà del mese di maggio, che grazie all’utilizzo di specifici ferormoni sessuali  consente la cattura massale dei maschi, che finendo nelle trappole non possono raggiungere le femmine e quindi fecondare le uova e non potendo riprodursi la popolazione diminuirà. In generale il n° delle trappole va dalle 5 alle 20 per ha.

Qualora ci si ritrovi a dover affrontare un’infestazione che si presenta già in atto nei confronti di piante ornamentali di può anche cercare di eliminare le larve utilizzando mezzi meccanici, come ad esempio dei sottili fili di ferro che vengono fatti entrare nelle gallerie scavate dalle larve con l’intento di infilzarle e quindi di asportarle manualmente dalla pianta, oppure, ricorrere a mezzi chimici, come utilizzare degli insetticidi allo stato di aerosol da iniettare nelle gallerie per uccidere le larve chiudendo poi i fori provocati dalle larve con stucco. C’è da dire però che questi metodi non sono sempre efficaci data la notevole difficoltà a raggiungere le larve e comunque bisogna sempre considerare che anche riuscendo ad eliminarle la pianta ha in ogni caso subito dei danni irreparabili, difatti, sezionando un albero colpito da Cossus Cossus saranno evidenti le numerose gallerie scavate dalle larve.

 

N.B: quando le larve attaccano piante da legno come il pioppo ed il noce bisogna considerare un eventuale deprezzamento del legno dovuto per l’appunto alla presenza delle gallerie che intaccano la qualità del prodotto.

domenica 14 febbraio 2021

Come si produce lo zucchero.

 

Anzitutto, prima di parlare del metodo di produzione dello zucchero, volevo darvi qualche informazione sulla pianta in sé e sulla sua storia.

Saccharum officinarum, questo è il nome latino della canna da zucchero detta anche cannamele, una pianta originaria della Nuova Guinea e la cui coltivazione era molto redditizia prima dell'inizio del 19° secolo in cui si è cominciato ad estrarre il famoso dolcificante anche dalle barbabietole da zucchero attraverso processi industriali per soddisfare la maggiore richiesta di questo prodotto che all’inizio era riservato a pochi. Oggigiorno invece la cannamele è coltivata in svariate parti del globo, naturalmente dove il clima lo permette, come in Asia, Africa, Australia ed in alcune zone della Spagna e del Portogallo e ancor più ristrettamente in Sicilia.

Originariamente venne introdotta in Europa dagli arabi e la sua coltivazione interessò dapprima la Spagna e successivamente la Sicilia, approdando anche nelle Indie occidentali grazie ai Conquistadores spagnoli in seguito alla scoperta delle Americhe.

Ed ora qualcuno di voi potrebbe chiedersi: ma quali sono i fattori di cui necessita la canna da zucchero per poter essere coltivata con successo?

In realtà sono molto semplici ed ora vi spiego perché, come già detto la cannamela è una pianta originaria della Nuova Guinea ed è quindi una pianta tropicale, proprio per questo motivo ha bisogno di un clima caldo-umido ed una temperatura che non scenda sotto i 20° oltre ad una esposizione in piena luce, questo perché altrimenti non riuscirebbe ad arrivare a maturazione e di conseguenza non si potrebbe procedere alla raccolta dei culmi ( che sono la parte da cui si estrae la linfa zuccherina), inoltre ha bisogno di un terreno di natura argillosa-silicea ed infine, un altro fattore determinante sono le precipitazioni, queste devono essere abbondanti affinché nel culmo possa accumularsi la maggior quantità di linfa possibile, perché ricordiamolo, è proprio da questa che si otterrà lo zucchero in seguito alla lavorazione.

Ed ora, un po' di botanica, che ci servirà a capire meglio perché alcune operazioni che interessano la lavorazione della cannamela vengono eseguite in un determinato modo.

Anzitutto i culmi sono molto simili alle canne di bambù e come questi sono intervallati da una serie di nodi, inoltre sono molto coriacei all’esterno e cavi all’interno, permettendo in questo modo l’accumulo della linfa. Un’altra cosa da sapere è che questa pianta presenta una “radice” particolare, detta rizoma, che altro non è che un fusto “modificato”, cioè che si è trasformato per adempire ad una funzione estremamente specifica, in questo caso di riserva. Il rizoma della canna da zucchero è coriaceo ed angoloso ed è molto importante, quando si raccolgono i diversi culmi che si sviluppano da esso, non spezzarli in malo modo ma separarli dal rizoma con un taglio netto, permettendo in questo modo la crescita di altri culmi che in caso contrario non avverrebbe.

La pianta infatti presenta un portamento cespuglioso ed è un’erbacea perenne, dotata di lunghe foglie verdi lanceolate che si incastrano sui nodi del culmo, avvolgendolo. Inoltre, a seconda della specie e della varietà può avere diverse colorazioni: verde, giallo, rossastro e violaceo.

Il periodo della raccolta dei culmi coincide quasi con quello di fioritura della pianta, che sviluppa delle infiorescenze chiamate “pannocchie” che assomigliano molto alle spighe del frumento e che possono arrivare anche a 90 cm di lunghezza. Infine, i culmi hanno generalmente un diametro di 3-5 cm di diametro e possono arrivare a pesare anche 10kg.

Ed ora parliamo di come si lavorano i culmi della cannamela per ricavarne lo zucchero.

La raccolta può essere effettuata manualmente o meccanicamente, nel primo caso il culmo verrà reciso con un attrezzo da taglio poco sopra la radice, mentre nel secondo caso questo procedimento verrà eseguito da una macchina che effettuerà la stessa operazione ma su superfici molto maggiori. In questo momento si può anche decidere di riprodurre la pianta per talea, che generalmente viene prelevata dalla sommità del fusto, e messa a dimora all’incirca ad un metro e mezzo rispetto alle altre piante.

Successivamente i culmi vengono privati della loro parte esterna più coriacea grazie all’ausilio di un macchinario che “le sbuccia” lasciando la polpa che viene sminuzzata per ricavarne il succo zuccherino, ovviamente bisogna cercare di estrarre tutta la linfa possibile quindi le parti già maciullate passano per svariate volte in una serie di rulli dentati che le sminuzzano ulteriormente permettendo di ottenere così quello che viene definito un “brodo leggero”. Il liquido zuccherino viene quindi filtrato e poi fatto bollire in modo da farlo addensare fino a trasformarlo in un “brodo denso” e solo a questo punto, quando la maggior parte della componente acquosa è evaporata il composto viene spostato in larghi recipienti dove viene lasciato raffreddare dove si cristallizza in zucchero.

Ovviamente, durante la lavorazione della cannamela tutte le componenti erbacee che sono state separate dal brodo attraverso la filtratura sono composte dai residui delle scorze e delle fibre e così facendo si ottiene un sottoprodotto della lavorazione, chiamato “bagassa” che ha diversi utilizzi come materia secondaria anche se molto spesso viene utilizzata come combustibile negli stessi zuccherifici.

Continuando la lavorazione si può ottenere anche la melassa che può essere bianca, quando lo zucchero viene sottoposto ad una sola ebollizione in cui si separeranno le parti che cristallizzeranno in zucchero per ottenere uno sciroppo dal gusto gradevole e dolce oppure, effettuando una seconda ebollizione si ricaverà la melassa nera, che a differenza della precedente ha un gusto più aromatico dato dal suo retrogusto leggermente amarognolo.

E come ultima cosa ricorderemo che dalla semplice fermentazione dello zucchero si otterrà l’alcool che potrà poi essere adoperato in svariate preparazioni alimentari oppure distillato per aumentarne la concentrazione.

 

Spero che questa piccola ricerca possa avervi aiutato a conoscere un po' meglio la cannamela e il mondo dello zucchero, inoltre cercando queste informazioni mi è venuta voglia di scrivere un piccolo racconto che vi metterò subito dopo e nel caso foste interessati a darci un’occhiata, vi anticipo una buona lettura.

 

Ps: se qualcuno dovesse notare errori grammaticali, di battitura, o incongruenze di qualsiasi tipo è ovviamente liberissimo di scriverlo nei commenti, del resto le “critiche costruttive” sono sempre ben accette e se usate nella maniera corretta possono aiutare una persona a migliorare molto.

Grazie a tutti quelli che leggeranno e alla prossima ricerca o storia ( od anche entrambe, tempo permettendo).

Il piccolo demone dello zucchero.

 

La notte in cui si svegliò era buia e umida, segno che aveva piovuto solo qualche ora prima, il profumo di terra bagnata ed acqua fresca indugiava ancora nell’aria mentre la luna piena splendeva alta nel cielo come una gigantesca moneta di puro argento e nel frattempo lui stava già scavando nel morbido terreno pieno di radici per raggiungere la superficie.

Sbucò vicino al flessuoso fusto della pianta che lo aveva lasciato crescere tra i suoi rizomi duri ed angolosi per tutti quegli anni ma nonostante tutto il tempo che aveva passato a dormire sottoterra lui era piccolino, grande quanto un topolino del grano o poco più ma non ne aveva le sembianze, non possedeva una lunga coda ,ne tonde orecchie sporgenti pronte a scattare sull’attenti ad ogni minimo rumore e nemmeno un corpo tondo e peloso, anzi, il suo corpicino era completamente glabro e la sua pelle era nera come la pece ma morbida come un ritaglio di cuoio scamosciato, aveva un paio di esili braccine che terminavano con delle manine dalle lunghe falangi, ognuna con quattro dita dotate di piccoli artigli affilati di duro avorio color crema, le zampe posteriori invece erano più robuste, simili a quelle di un canguro e sempre pronte a saltare, la testolina era curiosa e dalla forma vagamente triangolare che vantava un piccolo quanto fine nasino con tre vibrisse da ciascun lato del muso leggermente allungato ed infine, ciò che forse lo caratterizzava di più, erano i due grandi occhi neri che guizzavano rapidamente da una direzione all’altra brillando come delle pietre d’onice, proprio come quelle che erano cadute dalla tasca di un uomo che molti anni prima era passato proprio di lì, accasciandosi contro le alte canne da zucchero senza più rialzarsi e dopo qualche ora soltanto lui dormiva profondamente tra le radici della cannamela, immerso in un liquido viscoso color rubino e dal vago sapore di rame che si era infiltrato nella terra ed ora, dopo tutto quel tempo, poteva finalmente guardarsi attorno vedendo con i suoi vispi occhietti il paesaggio che lo circondava.

Si ritrovò davanti ad una vasta distesa di piante perenni tutte uguali alla sua, anche se non erano tutte dello stesso colore, ve ne erano alcune verdi come la sua, altre tendenti al giallognolo, violaceo e rossastro ma in ogni caso tutti i gruppi nascevano dalle resistenti radici che colonizzano il terreno e vantavano un fiero portamento cespuglioso, gli steli che li formavano erano rigogliosi ed arrivavano facilmente anche ai sei metri di altezza, sfoggiando con orgoglio le lunghe foglie lanceolate verde smeraldo che si incastravano sui nodi del culmo come a volerlo abbracciare ed anche se non le aveva mai viste direttamente sapeva bene che da quelle piante sarebbero potute spuntare delle infiorescenze chiamate “pannocchie” che potevano diventare molto grandi, sfiorando addirittura il metro di lunghezza.

Il culmo in sé era molto simile alla canne di bambù, cilindrico ed intervallato dai nodi che ne scandivano la crescita, era costituito da una parte esterna molto resistente e cavo all’interno dove la polpa aveva la particolarità di contenere una linfa dolciastra che rendeva lo stelo particolarmente pesante ma i demoni come lui apprezzavano moltissimo questa caratteristica perché gli dava una sensazione di solidità e proprio per questo motivo iniziò a scavare una porticina alla base del fusto vicino al quale era emerso pochi minuti prima. Grazie ai piccoli ma robusti dentini aprì un piccolo foro grande quando la sua testolina e rendendosi inconsistente riuscì a rintanarsi facilmente nella polpa, potendo gustare con soddisfazione la dolce linfa zuccherina e addormentandosi solo quando si fu riempito per bene la piccola pancia.

La quiete però durò poco, difatti, solo qualche ora dopo venne svegliato dai decisi colpi che qualcuno stava infliggendo alla base del suo stelo, proprio sopra al buchetto che lui aveva aperto con tanto zelo, finché la sua casetta caddé al suolo, venne poi presa e gli fù amputata la cima di netto che venne piantata non troppo distante dalla pianta madre mentre lui ed il resto del culmo venivano ammassati su un carretto sgangherato assieme ad una piccola montagna di altri fusti ,tutti nelle medesime condizioni, e se i demoni dello zucchero come lui non fossero stati così legati alla loro casa l’avrebbe abbandonata subito  per cercarne un’altra ma dato che l’aveva scelta solo qualche ora prima decise che non vi avrebbe rinunciato così facilmente. Del resto, reputava anche impossibile riuscire a trovare un’altra altrettanto accogliente, del resto lo stelo che si era scelto era perfetto, era sano e robusto con un gradevole profumo erbaceo e la sua polpa era fibrosa e piena di una linfa più dolce del miele e lui non poteva chiedere niente di meglio.

Nonostante la strada sconnessa decise comunque di restare nello stelo nonostante tutti gli sballottamenti a cui andò incontro il carretto che era trainato con tanta fatica da un uomo esile e dalla pelle ambrata che se ne andava in giro a piedi e torso nudo e solo dopo un giorno e mezzo di viaggio si fermarono, ma ancor prima di potersi godere un po' di tranquillità il suo stelo, assieme a molti altri, venne spostato dal carretto e fatto passare in uno strano aggeggio di metallo poco più basso degli uomini che gli giravano continuamente attorno, la macchina, azionata grazie alla mera forza dei muscoli, rimosse con una certa facilità la parte più esterna e coriacea del culmo, dopodiché fù il turno di un altro macchinario che grazie alle sue lame affilate riduceva in piccoli pezzetti tutto ciò che gli uomini le davano in pasto, a questo punto quello che restava della canne venne fatto passare attraverso dei rulli zeppi di denti che si incastravano gli uni negli altri, rendendo ancora più fini i pezzi di polpa ed estraendo tutto il succo possibile, questo procedimento si ripeté svariate volte finché la sua casetta non venne distrutta una volta per tutte e lui si ritrovò disciolto in un piccolo e dolce mare formato dalla linfa di tutte le canne che erano state maciullate da quei mostri di ferro.

Normalmente i demoni che perdevano la loro casa diventavano furenti ma lui la reputò una fortuna, giacché, più quel leggero brodo veniva lavorato dagli uomini addensandosi sempre di più e più diventava zuccherino e compatto rendendolo irresistibile ad un golosone come lui e pian piano restò soltanto la componente dolce che gli piaceva tanto mentre tutto il resto veniva tolto e portato in altre zone di quel grande spazio circondato da spessi muri di un pietra a lui sconosciuta che gli uomini avevano chiamato qualche volta cemento, le pareti erano sormontate da un tetto che sembrava esser fatto dello stesso materiale dei mostri che facevano costantemente a pezzi le canne senza esserne mai sazi.

Ora si ritrovava a sguazzare in un dolcissimo brodo molto più denso ma proprio quando pensava che le novità fossero terminate il liquido venne raccolto con dei grossi catini e messo a bollire in enormi pentole basse a larghe, al di sotto delle quali ardeva costantemente in fuoco che si nutriva di tutto ciò che restava della cannamele, era quello il nutrimento che gli uomini gli davano incessantemente da mangiare affinché facesse bollire lo sciroppo finché questo imbruniva, a quel punto chi era vicino ai pentoloni prendeva il contenuto delle pentole e lo spostava in altre ciotole molto più piccole dove il composto venne lasciato raffreddare e prendere forma.

Avrebbe potuto lasciare quel luogo durante la notte ma il composto granuloso e umido dove si trovava ora era mille volte più dolce e appetitoso della sua vecchia casetta anche se non altrettanto confortevole, così scelse di rimanere nella ciotola per vedere se la sua nuova dimora avrebbe potuto diventare ancora più dolce e così non fece nulla fino alla mattina seguente, quando venne svegliato dai passi degli uomini che senza perdere tempo spostarono il contenuto delle ciotole in grossi sacchi di spessa iuta per poi caricarli  su un grosso carro trainato da un paio di buoi bianchi e bonaccioni e da quel momento incominciò un altro viaggio che come il precedente fù pieno di ostacoli ma più il tempo passava, scandito al sorgere e al tramontare del sole, e più la terra cambiava, ora non era più fresca e profonda, piena di radici, ma iniziava a diventare più granulosa e ricca di pietrisco finché divenne sempre più fine finché trasformandosi lentamente in quella che gli uomini chiamarono sabbia. Questa continuava fino a scomparire in una immensa distesa d’acqua di cui non si vedeva la fine e che al suo naso risultò salata, molto diversa quindi da quella a cui lui era abituato e che cadeva dal cielo quando vi erano gli acquazzoni.

Scoprì ben presto che l’immensa distesa color di zaffiro che si ritrovò a guardare veniva chiamata mare e per attraversarlo, raggiungendo un altro pezzo di terra, si potevano usare degli strani alberi galleggianti che gli uomini chiamavano navi, queste erano dotate di gigantesche foglie bianche quadrate che si ancoravano tra i due o tre alberi privi di rami che spuntavano da una base di legno piatto e uniforme, da lì si scendeva in profondità calpestando delle strane radici rettangolari e si raggiungeva una cavità sottostante dove venivano ammassate tutte le cose che gli uomini portavano laggiù, imitando in un certo senso il comportamento delle formiche. Sembrava quasi una tana accuratamente scavata tra le radici di quella strana pianta galleggiante ma appena sentì che quel luogo veniva chiamato “pancia” si spaventò e cercò un modo per scappare ma concentrandosi sulla formazione legnosa si rese conto che questa non era viva, sembrava essere formata da molti alberi diversi che erano vissuti tempo prima e che gli parvero essere stati volutamente messi insieme grazie a dei pungiglioni di ferro delle misure più disparate solo per poter galleggiare sull’acqua salata del mare. Il legno era silenzioso e inerme, proprio com’era diventato il suo stelo dopo essere stato reciso per essere separato dalle radici, difatti, quando era ancora intatta la sua casetta erbacea pensava a crescere, cercava la luce e si sforzava di raccogliere il nutrimento per produrre la dolce linfa che lui amava tanto ma da quando era stato tagliato era diventato uguale al legno che ora lo circondava. Non capiva il motivo di quel cambiamento ma dal momento che non gli sarebbe capitato nulla di male decise di restare tra i dolci granelli a riposarsi lasciandosi cullare dalle oscillazione che il mostro di legno produceva mentre avanzava sull’acqua cristallina, continuando imperterrito la sua avanzata sia sotto il sole che sotto la luna, non seppe quanto tempo passò ma ad un certo punto la nave sussultò e quando tutto tacque i sacchi di zucchero vennero nuovamente sollevati e portati fuori dalla pancia della nave solo per essere sistemati in una fresca grotta dalle pareti quadrate e lasciati lì assieme ad altre merci a lui sconosciute e mentre era lì riconobbe solo qualcosa di vagamente familiare: l’aromatico profumo della frutta che stava iniziando a maturare e che cresceva anche nel paese dal quale proveniva lui.

Qualche giorno dopo il suo sacco venne spostato di nuovo e messo questa volta su un carretto trainato da una coppia di animali bruni che gli uomini chiamarono cavalli, questi erano più alti e leggiadri dei buoi che aveva visto ed avevano due fluenti criniere ondulate, una nasceva da sopra i lunghi ma robusti colli mentre l’altra spuntava dove solitamente partivano le sottili code dei buoi. Un’altra differenza evidente era che, i così detti cavalli non avevano nemmeno le corna, ed anche se ogni tanto scalpitavano, impazienti di ripartire, a lui parvero delle creature tranquille così non li degnò di troppa attenzione e quando poco dopo si misero in marcia notò che i sobbalzi furono quasi impercettibili, d’apprima attraversarono uno strano labirinto di pietra formato dalle case degli esseri umani, queste avevano delle forme insolite, fatte tutte di pietra dei colori più disparati e piene di buchi, dove gli uomini sembravano vivere, tra una tana e le altre ogni tanto spuntava qualche timido alberello dalla strana chioma, strana perché perfettamente tondeggiante come la luna piena e non scarmigliata come invece avrebbe dovuto essere. Lasciarono lentamente quell’enorme formicaio a cielo aperto e seguendo un sentiero sterrato si inoltrarono nell’umido bosco che di tanto in tanto si alternava a grandi distese dorate con screziature di rubino ed aguzzando la vista con i suoi occhietti scuri il piccolo demone vide che ciò che sembrava ad un primo colpo d’occhio un fluente manto fatto d’oro in realtà erano una miriade di sottili spighe di una pianta a lui sconosciuta che ondeggiava ad ogni rivolo di vento mentre quel rosso vivido era dato dalla crescita casuale di una valanga di leggiadri fiori dai grandi e sottili petali di rubino che sembravano voler far compagnia alle pesanti spighe dorate ad ogni costo. Arrivarono infine ad una tana solitaria che sentì chiamare magione e così, il sacco dove si trovava venne sollevato ancora una volta e portato all’interno ma con sua grande sfortuna non ebbe il tempo di riposare, tutt’attorno a lui c’era frenesia ed una gran quantità di uomini che si muoveva in modo disordinato, questa volta il suo sacco venne aperto e lui fù costretto a nascondersi in profondità tra i dolci granelli per evitare di essere acchiappato dall’arnese che capì essere una vecchia pentola ma appena la vide portargli via una parte dei suoi granelli si indispettì. Gli si  avvicinò con fare deciso toccando il metallo pieno di gibolli con una zampetta facendo sì che il manico si staccasse dalla parte che affondava nello zucchero ma anziché fermarsi come aveva previsto questo continuò a scavare nel sacco rubandogli i dolci granelli e fù proprio allora che decise di pungere con una delle sue unghiette la mano che, imperterrita, continuava a ravanare nel sacco ma sempre con suo grande stupore, dopo il gridò che lanciò la donna che era stata punta non seguì la quiete, bensì il suo sacco venne sollevato di peso e rovesciato interamente su un enorme tavolo dove il suo contenuto venne attentamente visionato dagli altri uomini e così, per non farsi scoprire, fù costretto a fondersi con lo zucchero per evitare che lo vedessero e solo dopo che venne accertato che tra gli scuri granelli non c’era nulla, le minuscole pietre dolci vennero rimesse nel sacco, tranne che per una piccola parte, quella in cui si trovava lui. Era stato separato così velocemente dal resto che non aveva fatto in tempo a spostarsi nella parte destinata al sacco di iuta finendo invece in una strana roccia bianca ed incredibilmente liscia e lucida su cui svettavano degli intricati disegni turchesi dai bordi dorati, il suo interno era abbastanza confortevole, era buio ed inspirava una certa tranquillità che lui di certo non disdegnava. La roccia concava venne riempita, richiusa poi con una pietra più piccola che gli calzava a pennello ma che aveva un piccolo foro da cui entrava una sottile asticella di ferro che terminava con una parte simile ad un guscio di noce aperto a metà e che sentì chiamare cucchiaino e che, senza farlo apposta, gli sembrò perfetto per raggomitolarcisi dentro ed infine vennero portati in un’altra zona della magione e finalmente tornò la quiete. Da allora venne disturbato solo quando qualcuno usava il cucchiaino per rubargli parte dei suoi scuri e dolci granelli che però venivano aggiunti non appena la zuccheriera iniziava a svuotarsi e così decise di non darci troppo peso, del resto tutto quello che lui doveva fare era starsene comodo in quella che ormai aveva proclamato come la sua seconda casetta ufficiale e nascondersi di tanto in tanto nella ceramica quando la sua tana veniva lavata per evitare di essere scoperto, per il resto poteva godersi le dolcezze della sua nuova dimora continuando ad imparare dagli uomini che aveva attorno senza preoccuparsi d’altro. Con il passare del tempo si abituò anche ai continui spostamenti, difatti, alle volte si ritrovava ad ascoltare gli ultimi pettegolezzi della moglie del duca e delle sue prestigiose amiche, altre invece doveva condividere il suo zucchero con degli strani animali che non si muovevano mai a meno che non fosse proprio la piccola figlia del duca a spostarli e non importava quante volte li vedeva, lui proprio non riusciva a capire come facessero quelle creature di pezza a stare immobili tutto il tempo, altre volte invece gli capitava di finire nuovamente nel grande sacco che conteneva i dolci granelli in cucina e dopo che la sua casetta veniva lavata e lasciata asciugare a lui bastava farsi riacchiappare dalla pentolina che le donne erano solite utilizzare per rabboccare la zuccheriera. La prima volta che era successo però si era spaventato molto essendo stato colto di sorpresa durante il suo pisolino pomeridiano ed aveva temuto di non poter più tornare nella sua piccola tana ma per sua fortuna non sembrava esserci questo pericolo perché nonostante le numerose volte che gli uomini compivano lo strano rituale il risultato era sempre lo stesso, la sua casetta veniva pulita e riempita con dei nuovi granelli ambrati.

Continuò a vivere nella magione per diverso tempo vedendo il duca e la duchessa invecchiare mentre la loro figlioletta cresceva sempre più diventando molto simile alla duchessa quand’era ancora giovane ma c’era una cosa insolita che notò il piccolo demone, di tanto in tanto, quando alcuni uomini diventavano molto vecchi, sparivano all’improvviso senza farsi più vedere ed ogni volta che questo strano fenomeno accadeva lui si chiedeva dove andassero a finire, ma forse non facevano altro che cambiare casa come aveva fatto anche lui un paio di volte e così quando i due padroni si casa scomparvero non se ne meravigliò molto. Qualche tempo dopo un giovane uomo, che lui aveva visto solo di rado a qualche festa, iniziò a vivere nella magione assieme alla nuova duchessa e poco dopo la donna iniziò ad ingrassare velocemente e nel giro di qualche mese saltò fuori un piccolo ometto che stava sempre insieme ai nuovi padroni di casa e mentre la creaturina piangeva la donna che realizzò essere la madre del pargolo tornò  magra di colpo. All’iniziò quel piccolo uomo stava sempre tranquillo o tra le braccia dei genitori o di qualche balia, poi un giorno gli venne voglia di alzarsi in piedi e di fare qualche passettino provocando per una ragione a lui sconosciuta l’entusiasmo degli uomini che gli erano attorno e anche dopo questo avvenimento l’ometto continuò a crescere e più diventava grande e più imitava i comportamenti di quelli che lo circondavano, tant’è che un giorno, mentre nessuno lo guardava, prese la zuccheriera dal tavolino e la portò nella sua stanza per poggiarla sul comodino ma questa gli caddè di mano, ed anche se non si spaccò, parte del suo contenuto venne rovesciato finendo sul lucido pavimento in marmo. Cercando di non farsi vedere il piccoletto afferrò i granelli con le manine e li ributtò nella zuccheriera ma i dolci sassolini si erano sporcati e lui  non li voleva più attorno così aprì il coperchio e li ributtò all’esterno, realizzando soltanto dopo di essersi fatto scoprire, perché certamente, il bambino sarebbe corso dal duca per raccontargli tutto e allora avrebbe perso la sua casetta ancora una volta ma con sua grande sorpresa questo non accadde, dopo un attimo di sorpresa l’ometto afferrò la zuccheriera e senza farsi scoprire andò in cucina rabboccandola  con dei nuovi granelli e rimettendola al suo posto nel grande soggiorno subito dopo senza dire niente a nessuno. Per un po' non gli ronzò più attorno finché una sera alla magione si presentò uno strano uomo, vestito in modo differente da tutti altri, con le dita lunghe e piene d’anelli, alto e smilzo, con i capelli color melanzana arruffati sotto al lungo cilindro nero, ma ciò che lo colpì di più erano i suoi strani occhi affilati color del miele d’acacia che gli ricordarono quelli di certi animali che aveva sentito chiamare gatti. Il forestiero chiese di fermarsi per la notte e grazie alla generosità del duca questo gli fu concesso ma proprio quando la notte divenne grassa e tutto taceva il piccoletto di casa afferrò la zuccheriera e cercando di non farsi scoprire, mentre correva a piedi scalzi per i corridoi, raggiunse la stanza dov’era stato fatto alloggiare l’ospite. Senza indugiò il bambino gli consegnò la sua tana e di tutta risposta  l’uomo la aprì ribaltandone il contenuto in una grossa boccia di vetro trasparente richiudendola subito dopo con un pezzo di legno rotondo e stranamente lui non riuscì a restare invisibile, forse a causa degli strani simboli che erano stati disegnati sul vetro, e così cercò di nascondersi tra i granelli mentre i due uomini lo osservavano, il più piccolo con immenso stupore mentre l’altro con una certa tranquillità.

-allora cos’è signore? – chiese l’ometto avvicinandosi al forestiero e stringendone la giacca bruna con le mani mentre lo guardava muoversi tra i granelli.

-è solo un piccolo demone che di solito vive nelle canne da zucchero, normalmente restano negli steli delle piante per nutrirsi della linfa zuccherina ma a quanto pare questo piccoletto ha attraversato mezzo globo. –

-ma come mai? –

-probabilmente devono aver tagliato lo stelo dove si trovava e tra una cosa l’altra dev’essersi ritrovato in un sacco di zucchero che poi è stato portato oltre l’oceano e poi ancora fino alla magione e quando si è finito nella zuccheriera ha deciso di usarla come casa. Comunque non preoccuparti, questi piccoli demoni non sono pericolosi o cattivi, solo molto abitudinari, essendo nato tra le radici della cannamela ha bisogno di restare sempre immenso in qualcosa di dolce e umido, proprio come questo zucchero. –

-quindi può restare qui? –

- certo e se non lo dici a nessuno non gli accadrà nulla, rimarrà semplicemente nella zuccheriera e basterà rabboccargli lo zucchero di tanto in tanto e posso assicurarti che starà benone. –

-ma diventerà grande? –

-no, ricordati che non è un animale domestico ma un demonietto delle cannamele, resterà sempre così, da adesso e per sempre, non importa quanto tempo passerà. –

-ma come faccio a sapere se è nello zucchero o se va via? –

-per questo…..mi sa tanto che dovrò farti vedere una piccola magia. – disse il forestiero prendendo la zuccheriera vuota e rigirandola, poi picchiettò sul fondo un paio di volte con la punta delle dita e sulla fine e candida porcellana comparve un piccolo puntino nero, lo mostrò al bambino dicendogli:

-ecco fatto, finché sotto la zuccheriera ci sarà questo puntino vorrà dire che lui si trova nello zucchero anche se nessuno lo vedrà. Adesso è meglio se lo rimettiamo nella sua casetta, vedi quant’è preoccupato? – a quelle parole il bambino guardò nel vaso notando che effettivamente il piccolo demone li osservava con estrema attenzione per non perdere di vista la sua preziosa e raffinata casetta.

-Se aspettiamo ancora un po' penserà che vogliamo rubargliela. – disse l’uomo rimettendo demone e granelli nella zuccheriera, dopodiché il bambino uscì dalla stanza riportandolo  dove l’aveva trovato ed il mattino seguente lo strano forestiero ripartì e così gli anni passarono tra un rabbocco e l’altro che venne quasi sempre eseguito dal piccolo umano che con il trascorrere del tempo crebbe velocemente diventando il nuovo duca e sempre più simile agli altri uomini che lo avevano circondato per diverso tempo mentre questi invecchiarono, scomparendo uno dopo l’altro com’era già accaduto svariate volte. Comparve infine una donna che iniziò  a ronzargli attorno e com’era accaduto alla precedente duchessa questa ingrassò e dimagrì abbastanza velocemente ed al posto della grande panciona comparve un altro esserino che all’inizio passò quasi tutto il suo tempo tra le sue braccia ma man mano che crebbe iniziò a mostrare un certo interesse per la sua casetta, proprio come aveva fatto il padre anni addietro ma nonostante questo non lo infastidì più di tanto anche se molto spesso si metteva a guardare la zuccheriera da tutte le angolazioni picchiettandoci sopra con le nocche e chiedendo se ci fosse qualcuno in casa. Un giorno però successe un fatto insolito che spezzò la routine della magione, il figlio del duca, che ormai era un ragazzino, non fece ritorno per cena e poco dopo alla porta si presentò un uomo emaciato che parlò con i domestici stringendo il logoro cappello stretto in mano tenendo lo sguardo basso e poco dopo tutti gli abitanti della casa corsero fuori e da quel giorno il demonietto non vide più il figlio del duca, ma solo quest’ultimo che da quella sera in poi iniziò a passare molto tempo vicino alla zuccheriera ed oltre a bere da una bottiglia di vetro uno strano liquido ambrato dall’odore aromatico e pungente scoppiava a piangere a dirotto all’improvviso, continuando finché gli occhi gli divenivano rossi o fino a quando passava un domestico che lo aiutava a reggersi sulle gambe fino al letto, lentamente questi episodi si verificarono sempre di meno finché dopo qualche anno comparve un altro pargolo che questa volta riuscì a crescere fino a diventare un adulto. Alla fine un giorno scomparve anche il duca che molti anni addietro lo aveva portato da quello strano forestiero nel cuore della notte e a seguito della sua assenza la zuccheriera venne presa da uno dei domestici e portata in una zona del giardino che lui non aveva mai visitato prima d’ora, questa non era al sole come le pergole dove le dame erano solite chiaccherare mentre bevevano il thè rubandogli gli scuri granelli, ora invece si trovava in un luogo silenzioso avvolto perennemente dalla penombra dove, dal terreno, spuntavano regolarmente delle pietre tutte delle stesse dimensioni e di forma rettangolare sopra cui vi erano incisi dei solchi che lui riconobbe vagamente come gli scarabocchi incomprensibili che gli uomini erano soliti fare su quella che chiamavano a volte carta e a volte pergamena e che lui non era mai riuscito a comprendere appartenendo ad una specie totalmente diversa.

Venne lasciato vicino ad una di quelle pietre e dopo che il domestico ebbe posato la zuccheriera su un sasso piatto, riempì il contenitore con lo zucchero e poi se ne andò passando solo di tanto in tanto per cambiargli i granelli e nulla di più e così ebbe la vaga sensazione di essere tornato a dormire tra le radici delle cannamele, tutto era diventato nuovamente tranquillo e silenzioso come quand’era ancora sottoterra.

Passò un tempo che lui non riuscì a quantificare finché una notte capitò qualcosa di insolito, la magione si colorò velocemente con i caldi colori dell’autunno creati dalle poderose lingue ardenti che si levarono ad avvolgere l’intero edificio e che lui riconobbe essere il fuoco che gli uomini erano soliti alimentare durante i periodi freddi, quando il paesaggio si ingrigiva ed il cielo piangeva, diventano alla volte d’un bianco splendente da cui cadevano dei piccoli batuffoli bianchi che dalle nuvole raggiungevano placidamente la terra portandosi dietro un freddo pungente e che ai suoi piccoli occhi assomigliavano ai soffioni con cui le giovani ragazze si divertivano a giocare durante l’estate. Se ne era accorto quasi subito ma quando i piccoli fiocchi cadevano sembrava calare un sottile silenzio più affine al mondo degli spiriti che a quello degli esseri umani e forse proprio per questo i bambini l’adoravano mentre gli adulti iniziavano a borbottare come facevano i pentoloni di fagioli scuri nell’ormai familiare cucina.

Il fuoco divorò tutto quello che poté, mangiando voracemente ogni singolo pezzetto di legno e di tessuto e lasciando solo la pietra che formava i muri della magione anneriti e fumanti e dopo quell’avvenimento non passò più nessuno a rabboccare la sua zuccheriera, lui aspettò ed aspettò e mentre il piccolo demone continuava ad attendere la massiccia pietra iniziò a cadere a pezzi, spaccandosi in diversi punti senza alcuna logica solo per ricadere sul terreno sottostante che la vegetazione, prima estremamente curata, si ribellava ai rigidi schemi che le erano stati imposti dagli uomini, approfittandone per inghiottire tutto quello che poteva con i suoi rami vigorosi e la sua naturale spontaneità.

Avrebbe potuto andarsene in ogni momento portando con sé la zuccheriera che oramai era diventata a tutti gli effetti la sua casetta ma decise di rimanere in quel luogo finché i granelli avessero perduto il loro dolce sapore ma una notte, quando questa era già profonda e regnava il silenzio, udì dei passi che avanzavano placidamente nella sua direzione calpestando le piante erbacee già secche per l’arrivo dell’autunno e che si fermarono solo quando lo raggiunsero. Aprì timidamente il coperchio della zuccheriera per vedere chi si trovava all’esterno e con un pizzico di stupore notò che era lo stesso forestiero che aveva incontrato moltissimi anni prima, l’uomo era identico ad allora, come se per lui il tempo non fosse passato e questo il piccolo demone non riusciva proprio a spiegarselo. L’uomo prese la porcellana e come aveva già fatto l’ultima volta che si erano incontrati né rovesciò il contenuto in una piccola boccia di vetro  che coprì con lo stesso coperchio in legno, imprigionandolo al suo interno, lo vide svuotare la sua casetta e riempirla con del nuovo zucchero dolce e umido, dopodiché lo afferrò a mani nude e lo rimise nella zuccheriera ma anziché lasciarlo vicino alla pietra rettangolare dove lo avevano spostato moltissimi anni prima lo portò via con sé, sparendo tra le nebbie nel cuore di quella notte silenziosa.  

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