La Bottega delle Ricerche
sabato 15 maggio 2021
ricetta latte condensato
sabato 10 aprile 2021
Pistacia terebinthus L. (Terebinto)
https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Pistacia_terebinthus_kz01.jpg
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/5/5d/Pistacia_terebinthus_kz01.jpg
Krzysztof
Ziarnek, Kenraiz, CC BY-SA 4.0
<https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, attraverso Wikimedia
Commons
Questa pianta, spontanea nella macchia mediterranea,
appartiene alla famiglia delle Anacardiacee ed è chiamata comunemente
Terebinto.
Generalmente cresce vicino alle coste, a bassa quota fino a
900m, nei boschi termofili, inoltre la si può trovare anche sui pendii aridi e
le rupi.
Il Terebinto riesce a sopportare condizioni di estrema
aridità essendo per natura una pianta termofila ed eliofila e vantando la
capacità di adattarsi a qualsiasi terreno anche se preferisce i suoli silicei.
DESCRIZIONE:
Generalmente si presenta in forma arbustiva con chioma
irregolare ma alle volte può diventare anche un albero che raggiunge i 5m di
altezza circa, la corteccia è liscia e grigiastra.
-Le foglie si presentano lunghe 10-20 cm, imparipennate,
composte da 5-11 foglioline ellittiche-acute, ad inserzione alterna dal forte
odore di resina.
-la pianta è dioica, ovvero sono presenti fiori unisessuali
su piante diverse, raccolti in infiorescenze a pannocchia di color verde-bruno.
La fioritura si presenta in concomitanza con l’emissione del fogliame ed
avviene da aprile a luglio.
-i frutti sono delle piccole drupe verdi di 7mm che diventano
rosse a maturazione, raccolte in grappoli sull’asse dell’infiorescenza.
CURIOSITA’:
v il Terebinto è spesso usato come
portainnesto per le piante di pistacchio (P. vera).
v Purtroppo è poco conosciuto e
raramente viene coltivato a causa della piccola dimensione delle drupe.
v Ha una prospettiva di vita di circa
150-200 anni.
v Dalla corteccia si estrae la
“trementina di chio” ovvero una resina dotata di proprietà emostatiche,
digestive, astringenti ed espettoranti.
v Il legno ha limitate utilizzazioni in
ebanisteria e per lavori al tornio a causa delle sue dimensioni ridotte.
v Dai suoi semi si ricava un olio
alimentare che a Creta viene utilizzato per profumare il pane.
v In Oriente viene impiegato per
profumare l’alito come masticatorio e per rinforzare le gengive e proprio per
questi motivi in Spagna veniva prodotto dalle galle un vino astringente.
v Oltre ad essere utilizzato a scopo
alimentare l’olio di Terebinto può essere usato anche per la cura della pelle,
proprio come altri olii vegetali. (ad es. olio di mandorle dolci)
v In Turchia l’olio viene utilizzato
anche per la produzione di sapone (menengic sabunu)
domenica 28 marzo 2021
The cost of the crown (il costo della corona)
The stars are very beautiful above the palace walls
They shine with equal splendor still above far humbler halls
I watch them from my window, but their bright, entrancing glow
Reminds me
of the freedom I gave up so long ago
Le stelle sono davvero splendide
sopra le mura del palazzo,
brillano ancora di eguale splendore al
di sopra delle stanze più umili.
Le guardo dalla mia finestra, ma il
loro bagliore, luminoso e affascinante
mi ricorda la libertà a cui ho
rinunciato molto tempo fa.
The royal circlet of bright gold rests lightly on my brow
I once thought only of the rights this circlet would endow
But once I took the crown to which I had been
schooled and bred
I found it
heavy on the heart, though light upon the head
Il reale cerchio d'oro brillante si
appoggia leggermente sulla mia fronte,
una volta pensavo solo ai diritti
che questo cerchietto mi avrebbe conferito,
ma una volta presa la corona da cui
ero stata istruita e allevata
l'ho trovata pesante sul cuore,
anche se leggera sulla testa.
For they are all my children, all that I swore to defend
It is my duty to become both Queen and trusted friend—
And of my children high and low, from beggar to above
The dearest are my Heralds, who return my care with love
Perché sono tutti miei figli, tutto
ciò che ho giurato di difendere,
è mio dovere diventare sia la regina
che un’amica fidata.
E dei miei figli, dai più illustri
ai più umili, dal mendicante e andando più in alto,
i più cari sono i miei Araldi, che
ricambiano le mie cure con amore.
The dearest are my Heralds, swift to spring to my command
Who give me aid and fellowship, who always understand
That land and people first have needs that I may not deny—
So I must send my dearest friends to danger—and to die
I più cari sono i miei Araldi,
pronti a balzare al mio comando,
che mi aiutano e mi sono amici, che
capiscono sempre
questa terra e le sue persone, che
hanno innanzitutto dei bisogni che non posso negare ...
Quindi devo mettere in pericolo i
miei più cari amici ….. e mandarli a morire
A friend, a love, a child—it matters not. I know indeed
That I must sacrifice them all if there should be the need
They know, and they forgive me—doing more than I require
With willing
minds and loving hearts go straight to grasp the fire
Un amico, un amore, un bambino, non
importa. Lo so davvero
che dovrò sacrificarli tutti se ve
ne fosse la necessità,
loro lo sanno e mi perdonano,
facendo più di quanto gli richiedo
con menti volenterose e cuori
amorevoli che si getterebbero nel fuoco senza indugio.
These tears that burn my eyes are all the tears the Queen can't shed
The tears I weep in silence as I mourn my Heralds dead
O Gods that dwell beyond the stars, if you can hear my cry—
And if you
have compassion—let me send no more to die!
Queste lacrime che bruciano i miei
occhi sono tutte le lacrime che una regina non può versare, sono
le lacrime che verso in silenzio
mentre compiango la morte dei miei Araldi.
O Dei che dimorate oltre le stelle,
se riuscite a sentirmi piangere
e se avete compassione, non lasciatemi
più mandare nessuno a morire!
domenica 7 marzo 2021
Cortinarius violaceus
Descrizione: il suo tratto più distintivo è il colore viola che interessa sia il cappello che il gambo.
Il gambo può raggiungere anche i 12cm di altezza e fino a 3cm
di diametro, in gioventù si presenta obeso e robusto diventando slanciato a
maturità anche se il bulbo basale rimane sempre non marginato. La superficie è
asciutta, dello stesso colore del cappello con riflessi metallici e la presenza
di fibrille longitudinali anche se più raramente possono essere presenti anche
delle labili bande trasversali.
Il cappello può arrivare a misurare anche 16cm presentandosi
prima emisferico, poi convesso ed infine appianato con un grande umbone
centrale leggermente ottuso, ovviamente caratterizzato dal colore viola intenso
con sfumature porpora da giovane che diventano brunastre quando raggiunge la
vecchiaia. La superficie è tomentosa, opaca ed asciutta. Presenta un filo interno
più chiaro e delle lamelle uncinate, viola scuro in gioventù, larghe e
spaziate, che tendono a diventare color ruggire con l’età.
Habitat: questo fungo si trova sia nei boschi di latifoglie che di conifere che presentano un substrato tendenzialmente calcareo, in zone umide e muscose, dove manifesta un comportamento gregario. Non è comune ma dall’estate all’autunno inoltrato si trova abbondantemente nelle zone di crescita sopra citate. C’è da dire inoltre che qualche autore distingue questa specie in due taxa differenti a seconda della dimensione delle spore e delle abitudini biologiche. Il primo, C. violaceus cresce nei boschi di latifoglie mentre il secondo, C. hercynicus si presenta sotto le conifere ed è ritenuto da alcuni come una semplice varietà od una sottospecie dal momento che presenta delle spore evidentemente più corte e di forma leggermente differente. Comunque, alcune raccolte miste effettuate tra i due taxa, porta molti a considerarli pressoché uguali.
Commestibilità: il consumo di questo fungo non è consigliata dal momento che
presenta un sapore dolce ed un forte odore delle carni, che sono peraltro mediocri
e tendono a colorare tutto il piatto di violetto, che tende ad intensificarsi
durante la cottura, definito come “russocoriaceo” (di cuoio di Russia) o di
legno di cedro. Le carni sono tenere nel cappello e piuttosto fibrose e
coriacee nel gambo con marezzature viola-porpora che tendono a schiarire al
contatto con l’aria.
Per i meno esperti inoltre è facile confonderlo con taxa congeneri che possono presentare toni più o meno scuri di violetto come: C. traganus, C. caerulescens s.l e diversi Phlegmacium con colori simili che però presentano delle caratteristiche morfologiche che differiscono per uno o più caratteri come ad esempio l’assenza in tutti questi funghi di un cappello tomentoso che invece possiede C. violaceus, anche se di certo lo scambio peggiore sarebbe quello con Lepista nuda, che però dovrebbe riconoscersi facilmente per la mancanza di cortina sul gambo, la superficie pileica liscia e glabra e la sporata rosa sporco, non rugginosa.
sabato 20 febbraio 2021
Il Cossus Cossus
Oggi vi parlerò di un insetto polifago diffuso in Europa: il
Cossus Cossus, detto anche rodilegno rosso, che è un lepidottero appartenente
alla famiglia Cossidae.
Come il nome fa facilmente intuire questo lepidottero, o
meglio le sue larve, che generalmente depone alla base del fusto o delle grosse
branche, producono una serie di danni più o meno seri a livello degli organi
legnosi della pianta scavando delle lunghe gallerie.
Quando le uova si schiudono le larve presentano un
comportamento gregario e così iniziano a scavare delle gallerie nella corteccia
e successivamente nel legno essendo per natura xilofaghe e così facendo possono
intaccare una gran numero di piante, sia da frutto come Pomacee e Drupacee,
comportandosi in questo modo da fitofago primario oppure piante forestali o
ancora piante di interesse ornamentale già debilitate agendo in questo caso da
fitofago secondario.
In ogni caso provocano molti danni dal momento che
distruggendo il legno viene a mancare il sostegno alla pianta, che può anche
deperire a causa delle difficoltà che la linfa impiega per circolare
all’interno dei tessuti colpiti, inoltre, nelle piante giovani le gallerie
scavate dalle larve possono anche portare alla rottura della branca che non
riesce più a sostenere il suo stesso peso.
Se l’infestazione larvale è giunta ad uno stadio avanzato è
possibile notare anche dei consistenti danni a livello della corteccia, che
presenterebbe dei fori di uscita, usati dalle larve quando lasciano il legno
per formare un bozzolo esterno dentro il quale compiono la metamorfosi per
diventare degli adulti, e degli sgretolamenti, a cui pianta tenta di porre
rimedio.
Le gallerie scavate dalle larve non sono tuttavia l’unico
fattore che potrebbe portare una pianta al deperimento dal momento che i tunnel
rappresentano di fatto una ferita, da cui possono penetrare altri agenti
patogeni, come muffe e funghi che potrebbero attaccare il legno a loro volta
portando alla formazione di cancri e/o carie o dando il via libera
all’insediamento di altri parassiti (sesidi).
CICLO VITALE
Il rodilegno rosso ha una durata di vita di circa 3 anni
durante i quali si riproduce nel periodo estivo quando compaiono gli adulti a
partire dalla terza decade di maggio e raggiungendo il picco di sfarfallamento
tra luglio ed agosto, mesi in cui l’accoppiamento raggiunge la sua massima
attività anche se bisogna tener conto che l’intervallo di sfarfallamento è
frammentario e questo rende più complesso intervenire in modo efficacie per
contrastare la diffusione del lepidottero.
Le femmine adulte possono deporre fino ad 800 uova brune/grigiastre, di circa 1-1,5mm, tra
gli anfratti della corteccia alla base delle piante oppure in prossimità della
giunzione di grosse branche con il fusto principale, appena nate le larve
presentano un comportamento gregario e già dopo 10gg circa iniziano a scavare
lunghe gallerie attraverso lo xilema del tronco o dei rami ed è proprio qui che
passeranno il loro primo inverno.
Se la pianta attaccata è ancora giovane si potranno notare
delle protuberanze e dei rigonfiamenti nella zona danneggiata, da cui può
fuoriuscire un fluido nerastro di consistenza mucillaginosa, composto dalla
linfa alterata, dai residui delle rosure e dai cataboliti prodotti dalle larve,
segni che la pianta sta cercando di reagire ai danni che gli sono stati
provocati.
A partire dalla primavera del 2° anno le larve riprendono il
loro sviluppo, continuando a crescere fino a raggiungere gli 8-9cm (80-90mm),
presentano 8 paia di zampe, di cui 3 toraciche, un colore rosato e la testa
scusa e solo dopo aver passato un altro inverno allo stadio larvale assumono la
caratteristica colorazione rossastro-violacea raggiungendo il pieno sviluppo
durante estate del 3° anno.
Scavano quindi per raggiungere la superficie ed una volta
creata una via d’uscita formano un bozzolo entro il quale si rinchiudono, da
quel momento passeranno circa 20-30gg prima che gli adulti possano finalmente
uscire dall’involucro dove hanno acquisito la caratteristica forma a farfalla
tipica dei lepidotteri.
La forma adulta presenta una colorazione violacea a livello
della schiena mentre il corpo tende all’arancione (risultando molto simili al
rodilegno giallo) mentre le ali sono di un color grigio-bianco striato con
sottili venature brunastre che l’aiutano a confondersi con la corteccia.
Questi insetti presentano un’apertura alare di 7-10cm.
PREVENZIONE
I danni provocati dalle larve del Cossus Cossus sono gravi ed
ingenti, motivo per cui si cerca di contrastarli con svariati mezzi.
Uno dei metodi utilizzati prevede l’utilizzo di nematodi come
Feltiae, Carpocapsae e Neoaplectana (Steinernema)
da far entrare in contatto con le aree colpite spruzzandoli direttamente nelle
gallerie oppure applicandoli su dei batuffoli di cotone che verranno poi
apposti all’ingresso delle gallerie stesse in modo che questi organismi
vermiformi inizino a cacciare le larve presenti nelle gallerie.
Si sta provando anche ad impiegare dei funghi entomopatogeni, come la Beauveria
bassiana che agisce attivamente nei confronti delle larve anche quando le
infestazioni si presentano a livello naturale.
Da ricordare che il Cossus Cossus possiede anche degli
antagonisti naturali come alcuni imenotteri parassitoidi e i Ditteri
Larvevoridi (gen. Phorocera) motivo per cui sarebbe meglio limitare il più
possibile l’uso di prodotti chimici che col passare del tempo potrebbero danneggiare
proprio questi utili antagonisti, oltre ai pronubi, finendo per creare un
ambiente ancor più favorevole allo sviluppo ed alla diffusione del Cossus.
Un altro metodo, e probabilmente il più utilizzato, è quello
di ricorrere a delle trappole sessuali, il cui n°/ha varia in base alla gravità
dell’infestazione, al clima ecc… da installare indicativamente nella prima metà
del mese di maggio, che grazie all’utilizzo di specifici ferormoni sessuali consente la cattura massale dei maschi, che
finendo nelle trappole non possono raggiungere le femmine e quindi fecondare le
uova e non potendo riprodursi la popolazione diminuirà. In generale il n° delle
trappole va dalle 5 alle 20 per ha.
Qualora ci si ritrovi a dover affrontare un’infestazione che
si presenta già in atto nei confronti di piante ornamentali di può anche
cercare di eliminare le larve utilizzando mezzi meccanici, come ad esempio dei
sottili fili di ferro che vengono fatti entrare nelle gallerie scavate dalle
larve con l’intento di infilzarle e quindi di asportarle manualmente dalla
pianta, oppure, ricorrere a mezzi chimici, come utilizzare degli insetticidi
allo stato di aerosol da iniettare nelle gallerie per uccidere le larve
chiudendo poi i fori provocati dalle larve con stucco. C’è da dire però che
questi metodi non sono sempre efficaci data la notevole difficoltà a
raggiungere le larve e comunque bisogna sempre considerare che anche riuscendo
ad eliminarle la pianta ha in ogni caso subito dei danni irreparabili, difatti,
sezionando un albero colpito da Cossus Cossus saranno evidenti le numerose
gallerie scavate dalle larve.
N.B: quando le larve attaccano piante da legno come il pioppo
ed il noce bisogna considerare un eventuale deprezzamento del legno dovuto per
l’appunto alla presenza delle gallerie che intaccano la qualità del prodotto.
domenica 14 febbraio 2021
Come si produce lo zucchero.
Anzitutto, prima di parlare del metodo di produzione dello
zucchero, volevo darvi qualche informazione sulla pianta in sé e sulla sua
storia.
Saccharum officinarum, questo è il nome latino della canna da
zucchero detta anche cannamele, una pianta originaria della Nuova Guinea e la
cui coltivazione era molto redditizia prima dell'inizio del 19° secolo in cui
si è cominciato ad estrarre il famoso dolcificante anche dalle barbabietole da
zucchero attraverso processi industriali per soddisfare la maggiore richiesta
di questo prodotto che all’inizio era riservato a pochi. Oggigiorno invece la
cannamele è coltivata in svariate parti del globo, naturalmente dove il clima
lo permette, come in Asia, Africa, Australia ed in alcune zone della Spagna e
del Portogallo e ancor più ristrettamente in Sicilia.
Originariamente venne introdotta in Europa dagli arabi e la
sua coltivazione interessò dapprima la Spagna e successivamente la Sicilia,
approdando anche nelle Indie occidentali grazie ai Conquistadores spagnoli in
seguito alla scoperta delle Americhe.
Ed ora qualcuno di voi potrebbe chiedersi: ma quali sono i
fattori di cui necessita la canna da zucchero per poter essere coltivata con
successo?
In realtà sono molto semplici ed ora vi spiego perché, come
già detto la cannamela è una pianta originaria della Nuova Guinea ed è quindi
una pianta tropicale, proprio per questo motivo ha bisogno di un clima
caldo-umido ed una temperatura che non scenda sotto i 20° oltre ad una esposizione
in piena luce, questo perché altrimenti non riuscirebbe ad arrivare a
maturazione e di conseguenza non si potrebbe procedere alla raccolta dei culmi
( che sono la parte da cui si estrae la linfa zuccherina), inoltre ha bisogno
di un terreno di natura argillosa-silicea ed infine, un altro fattore
determinante sono le precipitazioni, queste devono essere abbondanti affinché
nel culmo possa accumularsi la maggior quantità di linfa possibile, perché
ricordiamolo, è proprio da questa che si otterrà lo zucchero in seguito alla
lavorazione.
Ed ora, un po' di botanica, che ci servirà a capire meglio
perché alcune operazioni che interessano la lavorazione della cannamela vengono
eseguite in un determinato modo.
Anzitutto i culmi sono molto simili alle canne di bambù e
come questi sono intervallati da una serie di nodi, inoltre sono molto coriacei
all’esterno e cavi all’interno, permettendo in questo modo l’accumulo della
linfa. Un’altra cosa da sapere è che questa pianta presenta una “radice”
particolare, detta rizoma, che altro non è che un fusto “modificato”, cioè che
si è trasformato per adempire ad una funzione estremamente specifica, in questo
caso di riserva. Il rizoma della canna da zucchero è coriaceo ed angoloso ed è
molto importante, quando si raccolgono i diversi culmi che si sviluppano da
esso, non spezzarli in malo modo ma separarli dal rizoma con un taglio netto,
permettendo in questo modo la crescita di altri culmi che in caso contrario non
avverrebbe.
La pianta infatti presenta un portamento cespuglioso ed è
un’erbacea perenne, dotata di lunghe foglie verdi lanceolate che si incastrano
sui nodi del culmo, avvolgendolo. Inoltre, a seconda della specie e della
varietà può avere diverse colorazioni: verde, giallo, rossastro e violaceo.
Il periodo della raccolta dei culmi coincide quasi con quello
di fioritura della pianta, che sviluppa delle infiorescenze chiamate
“pannocchie” che assomigliano molto alle spighe del frumento e che possono
arrivare anche a 90 cm di lunghezza. Infine, i culmi hanno generalmente un
diametro di 3-5 cm di diametro e possono arrivare a pesare anche 10kg.
Ed ora parliamo di come si lavorano i culmi della cannamela
per ricavarne lo zucchero.
La raccolta può essere effettuata manualmente o
meccanicamente, nel primo caso il culmo verrà reciso con un attrezzo da taglio
poco sopra la radice, mentre nel secondo caso questo procedimento verrà
eseguito da una macchina che effettuerà la stessa operazione ma su superfici
molto maggiori. In questo momento si può anche decidere di riprodurre la pianta
per talea, che generalmente viene prelevata dalla sommità del fusto, e messa a
dimora all’incirca ad un metro e mezzo rispetto alle altre piante.
Successivamente i culmi vengono privati della loro parte
esterna più coriacea grazie all’ausilio di un macchinario che “le sbuccia”
lasciando la polpa che viene sminuzzata per ricavarne il succo zuccherino,
ovviamente bisogna cercare di estrarre tutta la linfa possibile quindi le parti
già maciullate passano per svariate volte in una serie di rulli dentati che le
sminuzzano ulteriormente permettendo di ottenere così quello che viene definito
un “brodo leggero”. Il liquido zuccherino viene quindi filtrato e poi fatto
bollire in modo da farlo addensare fino a trasformarlo in un “brodo denso” e
solo a questo punto, quando la maggior parte della componente acquosa è
evaporata il composto viene spostato in larghi recipienti dove viene lasciato
raffreddare dove si cristallizza in zucchero.
Ovviamente, durante la lavorazione della cannamela tutte le
componenti erbacee che sono state separate dal brodo attraverso la filtratura
sono composte dai residui delle scorze e delle fibre e così facendo si ottiene
un sottoprodotto della lavorazione, chiamato “bagassa” che ha diversi utilizzi
come materia secondaria anche se molto spesso viene utilizzata come
combustibile negli stessi zuccherifici.
Continuando la lavorazione si può ottenere anche la melassa che
può essere bianca, quando lo zucchero viene sottoposto ad una sola ebollizione
in cui si separeranno le parti che cristallizzeranno in zucchero per ottenere
uno sciroppo dal gusto gradevole e dolce oppure, effettuando una seconda
ebollizione si ricaverà la melassa nera, che a differenza della precedente ha
un gusto più aromatico dato dal suo retrogusto leggermente amarognolo.
E come ultima cosa ricorderemo che dalla semplice
fermentazione dello zucchero si otterrà l’alcool che potrà poi essere adoperato
in svariate preparazioni alimentari oppure distillato per aumentarne la
concentrazione.
Spero che questa piccola ricerca possa avervi aiutato a
conoscere un po' meglio la cannamela e il mondo dello zucchero, inoltre
cercando queste informazioni mi è venuta voglia di scrivere un piccolo racconto
che vi metterò subito dopo e nel caso foste interessati a darci un’occhiata, vi
anticipo una buona lettura.
Ps: se qualcuno dovesse notare errori grammaticali, di
battitura, o incongruenze di qualsiasi tipo è ovviamente liberissimo di
scriverlo nei commenti, del resto le “critiche costruttive” sono sempre ben
accette e se usate nella maniera corretta possono aiutare una persona a
migliorare molto.
Grazie a tutti quelli che leggeranno e alla prossima ricerca
o storia ( od anche entrambe, tempo permettendo).
Il piccolo demone dello zucchero.
La notte in cui si svegliò era
buia e umida, segno che aveva piovuto solo qualche ora prima, il profumo di
terra bagnata ed acqua fresca indugiava ancora nell’aria mentre la luna piena
splendeva alta nel cielo come una gigantesca moneta di puro argento e nel
frattempo lui stava già scavando nel morbido terreno pieno di radici per
raggiungere la superficie.
Sbucò vicino al flessuoso
fusto della pianta che lo aveva lasciato crescere tra i suoi rizomi duri ed angolosi
per tutti quegli anni ma nonostante tutto il tempo che aveva passato a dormire
sottoterra lui era piccolino, grande quanto un topolino del grano o poco più ma
non ne aveva le sembianze, non possedeva una lunga coda ,ne tonde orecchie
sporgenti pronte a scattare sull’attenti ad ogni minimo rumore e nemmeno un
corpo tondo e peloso, anzi, il suo corpicino era completamente glabro e la sua
pelle era nera come la pece ma morbida come un ritaglio di cuoio scamosciato,
aveva un paio di esili braccine che terminavano con delle manine dalle lunghe
falangi, ognuna con quattro dita dotate di piccoli artigli affilati di duro
avorio color crema, le zampe posteriori invece erano più robuste, simili a
quelle di un canguro e sempre pronte a saltare, la testolina era curiosa e
dalla forma vagamente triangolare che vantava un piccolo quanto fine nasino con
tre vibrisse da ciascun lato del muso leggermente allungato ed infine, ciò che
forse lo caratterizzava di più, erano i due grandi occhi neri che guizzavano
rapidamente da una direzione all’altra brillando come delle pietre d’onice,
proprio come quelle che erano cadute dalla tasca di un uomo che molti anni
prima era passato proprio di lì, accasciandosi contro le alte canne da zucchero
senza più rialzarsi e dopo qualche ora soltanto lui dormiva profondamente tra
le radici della cannamela, immerso in un liquido viscoso color rubino e dal
vago sapore di rame che si era infiltrato nella terra ed ora, dopo tutto quel
tempo, poteva finalmente guardarsi attorno vedendo con i suoi vispi occhietti
il paesaggio che lo circondava.
Si ritrovò davanti ad una
vasta distesa di piante perenni tutte uguali alla sua, anche se non erano tutte
dello stesso colore, ve ne erano alcune verdi come la sua, altre tendenti al
giallognolo, violaceo e rossastro ma in ogni caso tutti i gruppi nascevano
dalle resistenti radici che colonizzano il terreno e vantavano un fiero
portamento cespuglioso, gli steli che li formavano erano rigogliosi ed arrivavano
facilmente anche ai sei metri di altezza, sfoggiando con orgoglio le lunghe
foglie lanceolate verde smeraldo che si incastravano sui nodi del culmo come a
volerlo abbracciare ed anche se non le aveva mai viste direttamente sapeva bene
che da quelle piante sarebbero potute spuntare delle infiorescenze chiamate
“pannocchie” che potevano diventare molto grandi, sfiorando addirittura il
metro di lunghezza.
Il culmo in sé era molto
simile alla canne di bambù, cilindrico ed intervallato dai nodi che ne
scandivano la crescita, era costituito da una parte esterna molto resistente e
cavo all’interno dove la polpa aveva la particolarità di contenere una linfa
dolciastra che rendeva lo stelo particolarmente pesante ma i demoni come lui
apprezzavano moltissimo questa caratteristica perché gli dava una sensazione di
solidità e proprio per questo motivo iniziò a scavare una porticina alla base
del fusto vicino al quale era emerso pochi minuti prima. Grazie ai piccoli ma
robusti dentini aprì un piccolo foro grande quando la sua testolina e
rendendosi inconsistente riuscì a rintanarsi facilmente nella polpa, potendo
gustare con soddisfazione la dolce linfa zuccherina e addormentandosi solo
quando si fu riempito per bene la piccola pancia.
La quiete però durò poco,
difatti, solo qualche ora dopo venne svegliato dai decisi colpi che qualcuno
stava infliggendo alla base del suo stelo, proprio sopra al buchetto che lui
aveva aperto con tanto zelo, finché la sua casetta caddé al suolo, venne poi
presa e gli fù amputata la cima di netto che venne piantata non troppo distante
dalla pianta madre mentre lui ed il resto del culmo venivano ammassati su un
carretto sgangherato assieme ad una piccola montagna di altri fusti ,tutti
nelle medesime condizioni, e se i demoni dello zucchero come lui non fossero
stati così legati alla loro casa l’avrebbe abbandonata subito per cercarne un’altra ma dato che l’aveva scelta
solo qualche ora prima decise che non vi avrebbe rinunciato così facilmente. Del
resto, reputava anche impossibile riuscire a trovare un’altra altrettanto
accogliente, del resto lo stelo che si era scelto era perfetto, era sano e
robusto con un gradevole profumo erbaceo e la sua polpa era fibrosa e piena di
una linfa più dolce del miele e lui non poteva chiedere niente di meglio.
Nonostante la strada sconnessa
decise comunque di restare nello stelo nonostante tutti gli sballottamenti a
cui andò incontro il carretto che era trainato con tanta fatica da un uomo
esile e dalla pelle ambrata che se ne andava in giro a piedi e torso nudo e
solo dopo un giorno e mezzo di viaggio si fermarono, ma ancor prima di potersi
godere un po' di tranquillità il suo stelo, assieme a molti altri, venne
spostato dal carretto e fatto passare in uno strano aggeggio di metallo poco
più basso degli uomini che gli giravano continuamente attorno, la macchina,
azionata grazie alla mera forza dei muscoli, rimosse con una certa facilità la
parte più esterna e coriacea del culmo, dopodiché fù il turno di un altro
macchinario che grazie alle sue lame affilate riduceva in piccoli pezzetti
tutto ciò che gli uomini le davano in pasto, a questo punto quello che restava
della canne venne fatto passare attraverso dei rulli zeppi di denti che si
incastravano gli uni negli altri, rendendo ancora più fini i pezzi di polpa ed
estraendo tutto il succo possibile, questo procedimento si ripeté svariate
volte finché la sua casetta non venne distrutta una volta per tutte e lui si
ritrovò disciolto in un piccolo e dolce mare formato dalla linfa di tutte le
canne che erano state maciullate da quei mostri di ferro.
Normalmente i demoni che
perdevano la loro casa diventavano furenti ma lui la reputò una fortuna, giacché,
più quel leggero brodo veniva lavorato dagli uomini addensandosi sempre di più
e più diventava zuccherino e compatto rendendolo irresistibile ad un golosone come
lui e pian piano restò soltanto la componente dolce che gli piaceva tanto
mentre tutto il resto veniva tolto e portato in altre zone di quel grande
spazio circondato da spessi muri di un pietra a lui sconosciuta che gli uomini
avevano chiamato qualche volta cemento, le pareti erano sormontate da un tetto
che sembrava esser fatto dello stesso materiale dei mostri che facevano
costantemente a pezzi le canne senza esserne mai sazi.
Ora si ritrovava a sguazzare
in un dolcissimo brodo molto più denso ma proprio quando pensava che le novità
fossero terminate il liquido venne raccolto con dei grossi catini e messo a
bollire in enormi pentole basse a larghe, al di sotto delle quali ardeva
costantemente in fuoco che si nutriva di tutto ciò che restava della cannamele,
era quello il nutrimento che gli uomini gli davano incessantemente da mangiare
affinché facesse bollire lo sciroppo finché questo imbruniva, a quel punto chi
era vicino ai pentoloni prendeva il contenuto delle pentole e lo spostava in
altre ciotole molto più piccole dove il composto venne lasciato raffreddare e
prendere forma.
Avrebbe potuto lasciare quel
luogo durante la notte ma il composto granuloso e umido dove si trovava ora era
mille volte più dolce e appetitoso della sua vecchia casetta anche se non
altrettanto confortevole, così scelse di rimanere nella ciotola per vedere se
la sua nuova dimora avrebbe potuto diventare ancora più dolce e così non fece
nulla fino alla mattina seguente, quando venne svegliato dai passi degli uomini
che senza perdere tempo spostarono il contenuto delle ciotole in grossi sacchi di
spessa iuta per poi caricarli su un
grosso carro trainato da un paio di buoi bianchi e bonaccioni e da quel momento
incominciò un altro viaggio che come il precedente fù pieno di ostacoli ma più
il tempo passava, scandito al sorgere e al tramontare del sole, e più la terra
cambiava, ora non era più fresca e profonda, piena di radici, ma iniziava a
diventare più granulosa e ricca di pietrisco finché divenne sempre più fine
finché trasformandosi lentamente in quella che gli uomini chiamarono sabbia.
Questa continuava fino a scomparire in una immensa distesa d’acqua di cui non
si vedeva la fine e che al suo naso risultò salata, molto diversa quindi da
quella a cui lui era abituato e che cadeva dal cielo quando vi erano gli
acquazzoni.
Scoprì ben presto che
l’immensa distesa color di zaffiro che si ritrovò a guardare veniva chiamata
mare e per attraversarlo, raggiungendo un altro pezzo di terra, si potevano
usare degli strani alberi galleggianti che gli uomini chiamavano navi, queste
erano dotate di gigantesche foglie bianche quadrate che si ancoravano tra i due
o tre alberi privi di rami che spuntavano da una base di legno piatto e
uniforme, da lì si scendeva in profondità calpestando delle strane radici rettangolari
e si raggiungeva una cavità sottostante dove venivano ammassate tutte le cose
che gli uomini portavano laggiù, imitando in un certo senso il comportamento
delle formiche. Sembrava quasi una tana accuratamente scavata tra le radici di
quella strana pianta galleggiante ma appena sentì che quel luogo veniva chiamato
“pancia” si spaventò e cercò un modo per scappare ma concentrandosi sulla
formazione legnosa si rese conto che questa non era viva, sembrava essere formata
da molti alberi diversi che erano vissuti tempo prima e che gli parvero essere
stati volutamente messi insieme grazie a dei pungiglioni di ferro delle misure
più disparate solo per poter galleggiare sull’acqua salata del mare. Il legno
era silenzioso e inerme, proprio com’era diventato il suo stelo dopo essere
stato reciso per essere separato dalle radici, difatti, quando era ancora
intatta la sua casetta erbacea pensava a crescere, cercava la luce e si
sforzava di raccogliere il nutrimento per produrre la dolce linfa che lui amava
tanto ma da quando era stato tagliato era diventato uguale al legno che ora lo
circondava. Non capiva il motivo di quel cambiamento ma dal momento che non gli
sarebbe capitato nulla di male decise di restare tra i dolci granelli a
riposarsi lasciandosi cullare dalle oscillazione che il mostro di legno
produceva mentre avanzava sull’acqua cristallina, continuando imperterrito la
sua avanzata sia sotto il sole che sotto la luna, non seppe quanto tempo passò
ma ad un certo punto la nave sussultò e quando tutto tacque i sacchi di
zucchero vennero nuovamente sollevati e portati fuori dalla pancia della nave
solo per essere sistemati in una fresca grotta dalle pareti quadrate e lasciati
lì assieme ad altre merci a lui sconosciute e mentre era lì riconobbe solo qualcosa
di vagamente familiare: l’aromatico profumo della frutta che stava iniziando a
maturare e che cresceva anche nel paese dal quale proveniva lui.
Qualche giorno dopo il suo
sacco venne spostato di nuovo e messo questa volta su un carretto trainato da una
coppia di animali bruni che gli uomini chiamarono cavalli, questi erano più
alti e leggiadri dei buoi che aveva visto ed avevano due fluenti criniere
ondulate, una nasceva da sopra i lunghi ma robusti colli mentre l’altra
spuntava dove solitamente partivano le sottili code dei buoi. Un’altra
differenza evidente era che, i così detti cavalli non avevano nemmeno le corna,
ed anche se ogni tanto scalpitavano, impazienti di ripartire, a lui parvero
delle creature tranquille così non li degnò di troppa attenzione e quando poco
dopo si misero in marcia notò che i sobbalzi furono quasi impercettibili, d’apprima
attraversarono uno strano labirinto di pietra formato dalle case degli esseri
umani, queste avevano delle forme insolite, fatte tutte di pietra dei colori
più disparati e piene di buchi, dove gli uomini sembravano vivere, tra una tana
e le altre ogni tanto spuntava qualche timido alberello dalla strana chioma,
strana perché perfettamente tondeggiante come la luna piena e non scarmigliata
come invece avrebbe dovuto essere. Lasciarono lentamente quell’enorme formicaio
a cielo aperto e seguendo un sentiero sterrato si inoltrarono nell’umido bosco
che di tanto in tanto si alternava a grandi distese dorate con screziature di
rubino ed aguzzando la vista con i suoi occhietti scuri il piccolo demone vide
che ciò che sembrava ad un primo colpo d’occhio un fluente manto fatto d’oro in
realtà erano una miriade di sottili spighe di una pianta a lui sconosciuta che
ondeggiava ad ogni rivolo di vento mentre quel rosso vivido era dato dalla
crescita casuale di una valanga di leggiadri fiori dai grandi e sottili petali di
rubino che sembravano voler far compagnia alle pesanti spighe dorate ad ogni
costo. Arrivarono infine ad una tana solitaria che sentì chiamare magione e
così, il sacco dove si trovava venne sollevato ancora una volta e portato
all’interno ma con sua grande sfortuna non ebbe il tempo di riposare,
tutt’attorno a lui c’era frenesia ed una gran quantità di uomini che si muoveva
in modo disordinato, questa volta il suo sacco venne aperto e lui fù costretto
a nascondersi in profondità tra i dolci granelli per evitare di essere
acchiappato dall’arnese che capì essere una vecchia pentola ma appena la vide
portargli via una parte dei suoi granelli si indispettì. Gli si avvicinò con fare deciso toccando il metallo pieno
di gibolli con una zampetta facendo sì che il manico si staccasse dalla parte
che affondava nello zucchero ma anziché fermarsi come aveva previsto questo
continuò a scavare nel sacco rubandogli i dolci granelli e fù proprio allora
che decise di pungere con una delle sue unghiette la mano che, imperterrita,
continuava a ravanare nel sacco ma sempre con suo grande stupore, dopo il gridò
che lanciò la donna che era stata punta non seguì la quiete, bensì il suo sacco
venne sollevato di peso e rovesciato interamente su un enorme tavolo dove il
suo contenuto venne attentamente visionato dagli altri uomini e così, per non
farsi scoprire, fù costretto a fondersi con lo zucchero per evitare che lo
vedessero e solo dopo che venne accertato che tra gli scuri granelli non c’era
nulla, le minuscole pietre dolci vennero rimesse nel sacco, tranne che per una
piccola parte, quella in cui si trovava lui. Era stato separato così
velocemente dal resto che non aveva fatto in tempo a spostarsi nella parte
destinata al sacco di iuta finendo invece in una strana roccia bianca ed
incredibilmente liscia e lucida su cui svettavano degli intricati disegni
turchesi dai bordi dorati, il suo interno era abbastanza confortevole, era buio
ed inspirava una certa tranquillità che lui di certo non disdegnava. La roccia
concava venne riempita, richiusa poi con una pietra più piccola che gli calzava
a pennello ma che aveva un piccolo foro da cui entrava una sottile asticella di
ferro che terminava con una parte simile ad un guscio di noce aperto a metà e
che sentì chiamare cucchiaino e che, senza farlo apposta, gli sembrò perfetto
per raggomitolarcisi dentro ed infine vennero portati in un’altra zona della
magione e finalmente tornò la quiete. Da allora venne disturbato solo quando
qualcuno usava il cucchiaino per rubargli parte dei suoi scuri e dolci granelli
che però venivano aggiunti non appena la zuccheriera iniziava a svuotarsi e
così decise di non darci troppo peso, del resto tutto quello che lui doveva
fare era starsene comodo in quella che ormai aveva proclamato come la sua
seconda casetta ufficiale e nascondersi di tanto in tanto nella ceramica quando
la sua tana veniva lavata per evitare di essere scoperto, per il resto poteva
godersi le dolcezze della sua nuova dimora continuando ad imparare dagli uomini
che aveva attorno senza preoccuparsi d’altro. Con il passare del tempo si
abituò anche ai continui spostamenti, difatti, alle volte si ritrovava ad
ascoltare gli ultimi pettegolezzi della moglie del duca e delle sue prestigiose
amiche, altre invece doveva condividere il suo zucchero con degli strani
animali che non si muovevano mai a meno che non fosse proprio la piccola figlia
del duca a spostarli e non importava quante volte li vedeva, lui proprio non
riusciva a capire come facessero quelle creature di pezza a stare immobili
tutto il tempo, altre volte invece gli capitava di finire nuovamente nel grande
sacco che conteneva i dolci granelli in cucina e dopo che la sua casetta veniva
lavata e lasciata asciugare a lui bastava farsi riacchiappare dalla pentolina
che le donne erano solite utilizzare per rabboccare la zuccheriera. La prima
volta che era successo però si era spaventato molto essendo stato colto di
sorpresa durante il suo pisolino pomeridiano ed aveva temuto di non poter più
tornare nella sua piccola tana ma per sua fortuna non sembrava esserci questo
pericolo perché nonostante le numerose volte che gli uomini compivano lo strano
rituale il risultato era sempre lo stesso, la sua casetta veniva pulita e riempita
con dei nuovi granelli ambrati.
Continuò a vivere nella
magione per diverso tempo vedendo il duca e la duchessa invecchiare mentre la
loro figlioletta cresceva sempre più diventando molto simile alla duchessa quand’era
ancora giovane ma c’era una cosa insolita che notò il piccolo demone, di tanto
in tanto, quando alcuni uomini diventavano molto vecchi, sparivano
all’improvviso senza farsi più vedere ed ogni volta che questo strano fenomeno
accadeva lui si chiedeva dove andassero a finire, ma forse non facevano altro
che cambiare casa come aveva fatto anche lui un paio di volte e così quando i
due padroni si casa scomparvero non se ne meravigliò molto. Qualche tempo dopo
un giovane uomo, che lui aveva visto solo di rado a qualche festa, iniziò a
vivere nella magione assieme alla nuova duchessa e poco dopo la donna iniziò ad
ingrassare velocemente e nel giro di qualche mese saltò fuori un piccolo ometto
che stava sempre insieme ai nuovi padroni di casa e mentre la creaturina
piangeva la donna che realizzò essere la madre del pargolo tornò magra di colpo. All’iniziò quel piccolo uomo stava
sempre tranquillo o tra le braccia dei genitori o di qualche balia, poi un
giorno gli venne voglia di alzarsi in piedi e di fare qualche passettino
provocando per una ragione a lui sconosciuta l’entusiasmo degli uomini che gli
erano attorno e anche dopo questo avvenimento l’ometto continuò a crescere e
più diventava grande e più imitava i comportamenti di quelli che lo
circondavano, tant’è che un giorno, mentre nessuno lo guardava, prese la
zuccheriera dal tavolino e la portò nella sua stanza per poggiarla sul comodino
ma questa gli caddè di mano, ed anche se non si spaccò, parte del suo contenuto
venne rovesciato finendo sul lucido pavimento in marmo. Cercando di non farsi
vedere il piccoletto afferrò i granelli con le manine e li ributtò nella zuccheriera
ma i dolci sassolini si erano sporcati e lui
non li voleva più attorno così aprì il coperchio e li ributtò
all’esterno, realizzando soltanto dopo di essersi fatto scoprire, perché
certamente, il bambino sarebbe corso dal duca per raccontargli tutto e allora
avrebbe perso la sua casetta ancora una volta ma con sua grande sorpresa questo
non accadde, dopo un attimo di sorpresa l’ometto afferrò la zuccheriera e senza
farsi scoprire andò in cucina rabboccandola con dei nuovi granelli e rimettendola al suo
posto nel grande soggiorno subito dopo senza dire niente a nessuno. Per un po'
non gli ronzò più attorno finché una sera alla magione si presentò uno strano
uomo, vestito in modo differente da tutti altri, con le dita lunghe e piene
d’anelli, alto e smilzo, con i capelli color melanzana arruffati sotto al lungo
cilindro nero, ma ciò che lo colpì di più erano i suoi strani occhi affilati color
del miele d’acacia che gli ricordarono quelli di certi animali che aveva
sentito chiamare gatti. Il forestiero chiese di fermarsi per la notte e grazie
alla generosità del duca questo gli fu concesso ma proprio quando la notte
divenne grassa e tutto taceva il piccoletto di casa afferrò la zuccheriera e
cercando di non farsi scoprire, mentre correva a piedi scalzi per i corridoi,
raggiunse la stanza dov’era stato fatto alloggiare l’ospite. Senza indugiò il
bambino gli consegnò la sua tana e di tutta risposta l’uomo la aprì ribaltandone il contenuto in una
grossa boccia di vetro trasparente richiudendola subito dopo con un pezzo di
legno rotondo e stranamente lui non riuscì a restare invisibile, forse a causa
degli strani simboli che erano stati disegnati sul vetro, e così cercò di
nascondersi tra i granelli mentre i due uomini lo osservavano, il più piccolo
con immenso stupore mentre l’altro con una certa tranquillità.
-allora cos’è signore? – chiese
l’ometto avvicinandosi al forestiero e stringendone la giacca bruna con le mani
mentre lo guardava muoversi tra i granelli.
-è solo un piccolo demone che
di solito vive nelle canne da zucchero, normalmente restano negli steli delle
piante per nutrirsi della linfa zuccherina ma a quanto pare questo piccoletto
ha attraversato mezzo globo. –
-ma come mai? –
-probabilmente devono aver
tagliato lo stelo dove si trovava e tra una cosa l’altra dev’essersi ritrovato
in un sacco di zucchero che poi è stato portato oltre l’oceano e poi ancora
fino alla magione e quando si è finito nella zuccheriera ha deciso di usarla
come casa. Comunque non preoccuparti, questi piccoli demoni non sono pericolosi
o cattivi, solo molto abitudinari, essendo nato tra le radici della cannamela
ha bisogno di restare sempre immenso in qualcosa di dolce e umido, proprio come
questo zucchero. –
-quindi può restare qui? –
- certo e se non lo dici a
nessuno non gli accadrà nulla, rimarrà semplicemente nella zuccheriera e
basterà rabboccargli lo zucchero di tanto in tanto e posso assicurarti che
starà benone. –
-ma diventerà grande? –
-no, ricordati che non è un
animale domestico ma un demonietto delle cannamele, resterà sempre così, da
adesso e per sempre, non importa quanto tempo passerà. –
-ma come faccio a sapere se è
nello zucchero o se va via? –
-per questo…..mi sa tanto che
dovrò farti vedere una piccola magia. – disse il forestiero prendendo la
zuccheriera vuota e rigirandola, poi picchiettò sul fondo un paio di volte con
la punta delle dita e sulla fine e candida porcellana comparve un piccolo
puntino nero, lo mostrò al bambino dicendogli:
-ecco fatto, finché sotto la
zuccheriera ci sarà questo puntino vorrà dire che lui si trova nello zucchero
anche se nessuno lo vedrà. Adesso è meglio se lo rimettiamo nella sua casetta,
vedi quant’è preoccupato? – a quelle parole il bambino guardò nel vaso notando
che effettivamente il piccolo demone li osservava con estrema attenzione per
non perdere di vista la sua preziosa e raffinata casetta.
-Se aspettiamo ancora un po'
penserà che vogliamo rubargliela. – disse l’uomo rimettendo demone e granelli
nella zuccheriera, dopodiché il bambino uscì dalla stanza riportandolo dove l’aveva trovato ed il mattino seguente
lo strano forestiero ripartì e così gli anni passarono tra un rabbocco e
l’altro che venne quasi sempre eseguito dal piccolo umano che con il
trascorrere del tempo crebbe velocemente diventando il nuovo duca e sempre più
simile agli altri uomini che lo avevano circondato per diverso tempo mentre
questi invecchiarono, scomparendo uno dopo l’altro com’era già accaduto
svariate volte. Comparve infine una donna che iniziò a ronzargli attorno e com’era accaduto alla
precedente duchessa questa ingrassò e dimagrì abbastanza velocemente ed al
posto della grande panciona comparve un altro esserino che all’inizio passò
quasi tutto il suo tempo tra le sue braccia ma man mano che crebbe iniziò a
mostrare un certo interesse per la sua casetta, proprio come aveva fatto il
padre anni addietro ma nonostante questo non lo infastidì più di tanto anche se
molto spesso si metteva a guardare la zuccheriera da tutte le angolazioni
picchiettandoci sopra con le nocche e chiedendo se ci fosse qualcuno in casa.
Un giorno però successe un fatto insolito che spezzò la routine della magione,
il figlio del duca, che ormai era un ragazzino, non fece ritorno per cena e
poco dopo alla porta si presentò un uomo emaciato che parlò con i domestici
stringendo il logoro cappello stretto in mano tenendo lo sguardo basso e poco
dopo tutti gli abitanti della casa corsero fuori e da quel giorno il demonietto
non vide più il figlio del duca, ma solo quest’ultimo che da quella sera in poi
iniziò a passare molto tempo vicino alla zuccheriera ed oltre a bere da una
bottiglia di vetro uno strano liquido ambrato dall’odore aromatico e pungente
scoppiava a piangere a dirotto all’improvviso, continuando finché gli occhi gli
divenivano rossi o fino a quando passava un domestico che lo aiutava a reggersi
sulle gambe fino al letto, lentamente questi episodi si verificarono sempre di
meno finché dopo qualche anno comparve un altro pargolo che questa volta riuscì
a crescere fino a diventare un adulto. Alla fine un giorno scomparve anche il
duca che molti anni addietro lo aveva portato da quello strano forestiero nel
cuore della notte e a seguito della sua assenza la zuccheriera venne presa da
uno dei domestici e portata in una zona del giardino che lui non aveva mai
visitato prima d’ora, questa non era al sole come le pergole dove le dame erano
solite chiaccherare mentre bevevano il thè rubandogli gli scuri granelli, ora
invece si trovava in un luogo silenzioso avvolto perennemente dalla penombra
dove, dal terreno, spuntavano regolarmente delle pietre tutte delle stesse
dimensioni e di forma rettangolare sopra cui vi erano incisi dei solchi che lui
riconobbe vagamente come gli scarabocchi incomprensibili che gli uomini erano
soliti fare su quella che chiamavano a volte carta e a volte pergamena e che
lui non era mai riuscito a comprendere appartenendo ad una specie totalmente
diversa.
Venne lasciato vicino ad una
di quelle pietre e dopo che il domestico ebbe posato la zuccheriera su un sasso
piatto, riempì il contenitore con lo zucchero e poi se ne andò passando solo di
tanto in tanto per cambiargli i granelli e nulla di più e così ebbe la vaga sensazione
di essere tornato a dormire tra le radici delle cannamele, tutto era diventato
nuovamente tranquillo e silenzioso come quand’era ancora sottoterra.
Passò un tempo che lui non
riuscì a quantificare finché una notte capitò qualcosa di insolito, la magione
si colorò velocemente con i caldi colori dell’autunno creati dalle poderose
lingue ardenti che si levarono ad avvolgere l’intero edificio e che lui riconobbe
essere il fuoco che gli uomini erano soliti alimentare durante i periodi
freddi, quando il paesaggio si ingrigiva ed il cielo piangeva, diventano alla
volte d’un bianco splendente da cui cadevano dei piccoli batuffoli bianchi che
dalle nuvole raggiungevano placidamente la terra portandosi dietro un freddo
pungente e che ai suoi piccoli occhi assomigliavano ai soffioni con cui le
giovani ragazze si divertivano a giocare durante l’estate. Se ne era accorto
quasi subito ma quando i piccoli fiocchi cadevano sembrava calare un sottile
silenzio più affine al mondo degli spiriti che a quello degli esseri umani e
forse proprio per questo i bambini l’adoravano mentre gli adulti iniziavano a
borbottare come facevano i pentoloni di fagioli scuri nell’ormai familiare
cucina.
Il fuoco divorò tutto quello
che poté, mangiando voracemente ogni singolo pezzetto di legno e di tessuto e
lasciando solo la pietra che formava i muri della magione anneriti e fumanti e
dopo quell’avvenimento non passò più nessuno a rabboccare la sua zuccheriera,
lui aspettò ed aspettò e mentre il piccolo demone continuava ad attendere la
massiccia pietra iniziò a cadere a pezzi, spaccandosi in diversi punti senza
alcuna logica solo per ricadere sul terreno sottostante che la vegetazione, prima
estremamente curata, si ribellava ai rigidi schemi che le erano stati imposti
dagli uomini, approfittandone per inghiottire tutto quello che poteva con i
suoi rami vigorosi e la sua naturale spontaneità.
Avrebbe potuto andarsene in
ogni momento portando con sé la zuccheriera che oramai era diventata a tutti
gli effetti la sua casetta ma decise di rimanere in quel luogo finché i
granelli avessero perduto il loro dolce sapore ma una notte, quando questa era
già profonda e regnava il silenzio, udì dei passi che avanzavano placidamente
nella sua direzione calpestando le piante erbacee già secche per l’arrivo
dell’autunno e che si fermarono solo quando lo raggiunsero. Aprì timidamente il
coperchio della zuccheriera per vedere chi si trovava all’esterno e con un
pizzico di stupore notò che era lo stesso forestiero che aveva incontrato
moltissimi anni prima, l’uomo era identico ad allora, come se per lui il tempo
non fosse passato e questo il piccolo demone non riusciva proprio a
spiegarselo. L’uomo prese la porcellana e come aveva già fatto l’ultima volta che
si erano incontrati né rovesciò il contenuto in una piccola boccia di vetro che coprì con lo stesso coperchio in legno,
imprigionandolo al suo interno, lo vide svuotare la sua casetta e riempirla con
del nuovo zucchero dolce e umido, dopodiché lo afferrò a mani nude e lo rimise
nella zuccheriera ma anziché lasciarlo vicino alla pietra rettangolare dove lo
avevano spostato moltissimi anni prima lo portò via con sé, sparendo tra le
nebbie nel cuore di quella notte silenziosa.
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